E sce di scena ufficialmente Ilda Boccassini, mai davvero presa in considerazione dal Csm: non diventerà il futuro procuratore di Milano, a sessantasei anni ormai compiuti non potrà più candidarsi ad altre cariche, e concluderà la sua carriera nel 2019 da semplice pm. È questa l'unica certezza che emerge dalla seduta, lunga e a tratti convulsa, del Consiglio superiore della magistratura, che ieri doveva mettere fine a un vuoto che si trascina ormai da cinque mesi alla testa di uno degli uffici giudiziari più delicati d'Italia. La Procura di Milano è senza capo dal 16 novembre, giorno dell'addio di Edmondo Bruti Liberati.
Ieri dalla riunione della commissione incarichi direttivi esce in pole position Francesco Greco, figura storica di Magistratura democratica, oggi procuratore aggiunto a Milano e capo del pool reati finanziari. Ma quando tra un mese dovrà esprimersi il plenum potrà accadere di tutto. Perché vengono tenuti in vita, anche se con un solo voto, altre due candidature: Alberto Nobili, fino a poco fa anche lui procuratore aggiunto a Milano, e soprattutto Gianni Melillo, in servizio al ministero della Giustizia. Nobili ha avuto l'appoggio del giudice conservatore Claudio Galoppi, di Magistratura indipendente; Melillo quello di Elisabetta Casellati, consigliere laico di Forza Italia. Ma i giochi sono aperti perché il correntone centrista di Unicost ancora non ha deciso cosa fare, e perché i tentativi di accordo e mediazione continueranno per tutto il mese: condizionati dalle logiche di corrente, ma anche dalla necessità di trovare risposta alla domanda chiave: le drammatiche lacerazioni che attraversano la Procura milanese possono essere sanate da un candidato interno (Greco o Nobili), o serve un «papa straniero», cioè Melillo?
La candidatura Greco è apparsa a lungo imbattibile: era uno dei mastini del pool Mani Pulite, ma è stato poi l'unico della Procura, nel 1999, a tentare un dialogo con Berlusconi; come procuratore aggiunto ha creato una sinergia importante tra la Procura, la Consob, l'agenzia delle entrate; è indubbiamente targato Md ma non ha inflessioni da toga rossa; è uno degli ispiratori delle riforme renziane sui reati societari; insomma intorno al suo nome si era creata una alleanza trasversale che sembrava imbattibile.
Poi però qualcuno si è messo di traverso: primo tra tutti Giovanni Canzio, primo presidente della Cassazione, che conosce bene Milano e (forse proprio per questo) è convinto che solo un «forestiero» possa arieggiare le stanze della Procura meneghina. Canzio tifa Melillo. E ieri con lui si schiera la consigliera di centrodestra Casellati.
Che poi spiega: «Non bisogna avere paura delle novità. Anche quando mandammo Pignatone a Roma e Lo Voi a Palermo sembrava che dovesse accadere chissà che. Invece adesso ci ringraziano tutti». Giochi, insomma, ancora tutti aperti.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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