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Grillini in riunione permanente: tutti contro tutti. E Conte litiga coi suoi ministri

Patuanelli: "Se ci sarà la verifica dovremo votare la fiducia". D’Incà: "Il Paese rischia la crisi in un momento delicato"

Grillini in riunione permanente: tutti contro tutti. E Conte litiga coi suoi ministri

Divisi verso il precipizio. Da un Consiglio Nazionale all'altro, in un gabinetto di guerra che è riunito a ciclo continuo, emerge la volontà di Giuseppe Conte di andare fino in fondo. A falcate in direzione di un voto anticipato che, per il M5s, è pieno di incognite. Anche se è forte il pressing dei governisti, in testa i tre ministri Fabiana Dadone, Stefano Patuanelli e Federico D'Incà, che alzano pure loro le barricate, ma per non uscire dal governo.

La giornata inizia con una convocazione mattutina dei vertici stellati. L'ex premier mette sul piatto la possibilità di ritirare la delegazione ministeriale prima delle comunicazioni alle Camere di Mario Draghi, previste per mercoledì. Gli ortodossi pressano, non digeriscono le critiche di chi dice al M5s che non ha votato la fiducia e tiene i ministri al suo posto. In prima linea soprattutto la vicepresidente vicaria dei Cinque Stelle Paola Taverna. Con lei altri due vice, Riccardo Ricciardi e Michele Gubitosa. Solo che i falchi non avevano fatto i conti con la rabbia delle colombe. «Se ci sarà una verifica di maggioranza, dovremo votare la fiducia», la mette giù Patuanelli. Lo segue a ruota Dadone. Ma è D'Incà il più duro. Per il ministro la crisi di governo «rischia di mettere in crisi il Paese in un momento delicatissimo». E ancora: «Non si capisce il senso di questa decisione ora, dopo aver consegnato a Draghi dei punti che dovevano anche essere recepiti nel prossimo decreto di 15 miliardi». D'Incà insiste: «Non sono d'accordo con questo modo di fare, sono preoccupato perché ci sono le riforme del Pnrr, dobbiamo approvare il decreto Concorrenza». La sera prima si era palesata un'altra spina nel fianco, che risponde al nome di Davide Crippa, capogruppo alla Camera. «Prendi le decisioni con il tuo solito cerchio magico», ha detto Crippa a Conte. Chi ha partecipato alla riunione conferma: «Ieri tra Crippa e Conte sono volate le urla». Sembra prevalere quella che è definita la linea-Taverna. Nessuna fiducia a Draghi in caso di verifica. E se mercoledì non ci sarà un voto? «Vedremo, faremo una dichiarazione per dire che è tutto finito», abbozzano dal fortilizio grillino.

Nel frattempo fonti contiane precisano: «Non abbiamo chiesto ai ministri di dimettersi». Ma è sicuro che l'ipotesi è stata prospettata ai tre membri del governo. E Crippa, alla testa dei deputati in autogestione, convoca un'assemblea del gruppo per oggi alle tre del pomeriggio. In Parlamento i pentastellati ciondolano storditi. Riccardo Fraccaro su Instagram posta un meme di Conte in versione Dj del Papeete. La «storia» viene cancellata dal deputato, ma è già su tutti gli screenshot dei parlamentari. «È stato un errore», si giustifica lui. Si fa sentire Luigi Di Maio. «Se Conte ritira i ministri è la fine del governo», la prima staffilata. «Conte colpisce il governo per vendetta», la seconda. «Conte mette a repentaglio la sicurezza economica del Paese», la terza. La capogruppo al Senato Mariolina Castellone in serata getta acqua sul fuoco: «Tutte le ipotesi sono in campo».

Se il gruppo di Palazzo Madama è una curva di ultrà che vogliono andare al voto o all'opposizione, la truppa della Camera è già un suk brulicante. «Sto valutando il da farsi, con me lo stanno facendo tanti altri», risponde al Giornale la deputata Elisabetta Barbuto, data con le valigie in mano verso Di Maio. Dopo le notizie sullo scontro tra Conte e Crippa è aumentato il numero dei deputati che contestano la linea-Taverna. Negli scorsi giorni erano quindici, adesso sono più di venti. I governisti scommettono sulle «pressioni internazionali». «Oh, hai visto l'agenzia di Sullivan, il consigliere di Biden?», ci si dà di gomito tra chi non vuole la deflagrazione della crisi. L'apertura di Conte è sulla possibilità di un voto online della base. Che di fatto sarebbe una ratifica del Draghicidio. Una fonte di governo infatti descrive il leader grillino come «chiuso nel bunker di Hitler da giorni, anche Hitler quando la guerra era già persa sperava in una fantomatica arma micidiale, per Conte l'arma per risollevare il M5s è l'uscita dal governo».

Dritti verso il fondo.

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