Fuori gli indagati dalle liste. Anzi no. Ma forse sì. Il Movimento 5 stelle in Emilia Romagna è nel caos. Niente di nuovo per il «partito» di Grillo e Casaleggio che del moralismo a targhe alterne ha fatto una bandiera. Ma adesso, l'inchiesta sulle spese pazze nella regione rossa per eccellenza, che doveva (e nelle intenzioni voleva) rappresentare per i grillini forcaioli un altro pretesto per dimostrare la loro presunta diversità, sta diventando un pericolosissimo boomerang. Perché se il diktat «noi non candidiamo indagati», sancito da un regolamento fresco di stampa, sembrava essere invalicabile, per Andrea Defranceschi, capogruppo grillino in regione (e unico consigliere superstite dopo le varie scissioni interne), è pronta un'inedita giravolta. Delle due l'una: o finalmente anche a grillolandia hanno capito che un indagato, per la legge ma anche per il buonsenso, è innocente fino a prova contraria, oppure anche per loro, ex duri e puri che non si mischiano con la vecchia politica, i regolamenti non sono uguali per tutti.
Succede che Defranceschi, candidato in pectore alla poltrona di presidente alle prossime elezioni, finisca indagato, al pari di tutti i suoi colleghi capigruppo. Anche se l'inchiesta in corso sembra destinata a concludersi con un nulla di fatto perché alla fine, dopo tanto clamore, le cosiddette spese pazze poi tanto pazze sembrano non essere. Comunque la polemica monta: c'è (anche se mancherebbe la notifica ufficiale) un grillino indagato. Quindi che fa? Si dimette, chiede scusa, indossa un cilicio, si fustiga in pubblica piazza e si concede al ludibrio dei passanti, ovvio no? E invece pubblica una lettera accorata in cui si dichiara del tutto estraneo, specifica di non aver ricevuto nessuna notifica che certifichi il suo status di indagato e, come primo atto, si ricandida ufficialmente.
Reazione normale. Normalissima. Perché la presunzione d'innocenza vale per tutti, lui compreso. Così dovrebbe essere sempre, anche per il Movimento 5 stelle. Finalmente. Proprio loro che fino a ieri sputavano veleno su chiunque fosse solo che minimamente sfiorato dal sospetto di possibili indagini, ora si accorgono che questa strategia non paga ed è oggettivamente sciocca e pericolosa. Ma ancora non c'è certezza perché di giravolte e ripensamenti Grillo è maestro. Intanto lui tace e lancia un appello via blog perché più donne si candidino in Regione (perché la quota rosa tira anche nei 5 stelle); poi, se gli umori della piazza (o della rete) saranno favorevoli, il leader proseguirà sull'inedita linea del garantismo altrimenti è pronto a sacrificare Defranceschi sull'altare del consenso. Anche perché la netta presa di posizione del candidato-indagato che ha parlato di «provvedimento discutibile perché ci espone al ricatto da parte di tutti i partiti e politici che attacchiamo: se ti voglio far fuori ti querelo così non ti candidi» è parsa a molti una sfida al vertice del Movimento che ha varato e messo per iscritto il regolamento che vieta la candidatura agli indagati proprio per le elezioni in Emilia Romagna e Calabria. I maligni hanno appunto pensato ad una norma ad hoc per fare fuori lo scomodo Defranceschi. Ma la base è in fermento e si moltiplicano le prese di posizione in favore del grillino emiliano. Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, che nell'ultimo anno si è scontrato più volte col tandem Grillo-Casaleggio, attacca: «Un conto è essere indagato, un conto è essere all'interno di un processo.
Non possiamo perderlo per una norma uscita adesso».Bacio della morte o endorsment di peso? Per presentare le liste c'è tempo ancora un mese e le polemiche saranno comunque inutili. Perché l'ultima parola, come al solito, spetterà al capo.
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