San Paolo Giornata al cardiopalma quella di ieri per il Venezuela con carrarmati lanciati sui manifestanti nella capitale Caracas. Tutto è cominciato alle prime ore dell'alba quando il presidente ad interim Juan Guaidó ha convocato il popolo venezuelano e l'esercito a scendere in strada per quella che ha definito la «fase finale dell'Operazione Libertà» alla vigilia della grande marcia indetta per oggi, primo maggio.
Quando Caracas era ancora avvolta nel buio, Guaidó dalla base aerea La Carlota in un video subito twittato sul suo account personale ha così esortato i suoi connazionali: «Scendiamo tutti in strada. E la forza armata nazionale continui il suo dispiegamento al nostro fianco fino a che non raggiungeremo la fine di questa usurpazione che già è irreversibile». Un clima da vero e proprio colpo di stato secondo il ministro delle comunicazioni di Maduro che ha subito parlato di «un ridotto gruppo di militari traditori che si sono posizionati in un distributore di benzina di Altamira per promuovere un golpe contro la Costituzione e la pace della Repubblica».
Quanto a Guaidó accanto a lui c'era Leopoldo López lo storico leader dell'opposizione e fondatore del suo stesso partito, Voluntad Popular, condannato a 13 anni di carcere e da 5 anni agli arresti domiciliari. Era stato «liberato» poco prima da agenti del Sebin e da alcuni soldati della Fabn, la Forza armata boliviana nazionale schieratisi dalla parte di Guaidó (tutti per le strade e nelle piazze con una fascia azzurra legata al braccio). Su Twitter e poi a voce López ha invitato anche lui alla mobilitazione: «È ora di conquistare la libertà, forza e fede. Con la fine di questa usurpazione convocheremo elezioni libere». poi ha chiesto asilo all'mabasciata del Cile. Immediata la reazione del regime anche se sia Maduro sia il presidente dell'Assemblea Nazionale Costituente Diosdato Cabello non si sono fatti vedere dal vivo subito ma hanno preferito anche loro usare i social. Il primo su Twitter ha dichiarato: «Nervi d'acciaio! Chiedo la massima mobilitazione popolare per assicurare la vittoria della pace. Vinceremo!».
Il secondo in diretta telefonica con la tv di Stato Venezolana de Televisión ha convocato la popolazione e i temutissimi colectivos chavisti (gruppi criminali armati che girano in moto al servizio della dittatura) a radunarsi fuori dal palazzo presidenziale di Miraflores. «Quei pochi militari disertori trincerati in un distributore di benzina nel quartiere di Altamira a Caracas sono stati neutralizzati- ha detto - I militari che appoggiano Juan Guaidó sono stati ingannati e ciascuno si dovrà assumere le sue responsabilità».
Parole che però non sono state sufficienti a impedire al presidente Guaidó e a López di uscire dalla base aerea fuori dalla quale sono stati lanciati gas lacrimogeni e a spostarsi in altri quartieri della capitale per dare vita a una fiumana umana di protesta. Tanto che lo stesso Guaidó sempre su Twitter ha creato l'hashtag #TodaVenezuelaALaCalle dichiarando a più riprese nella giornata che le strade del Venezuela di ora in ora si stavano popolando sempre più di gente stanca ormai della fame e della miseria più nera imposta dal regime. E mentre Maduro ha bloccato tutte le reti sociali in queste ore concitate, l'opposizione è riuscita a farsi sentire lo stesso. Henrique Capriles si è rivolto all'opinione pubblica internazionale con queste parole: «È il momento di appoggiare la causa dei venezuelani in queste ore cruciali. Di appoggiare la nostra gente. È il momento di continuare a mobilitarci. Forza Venezuela! L'Operazione Libertà è nelle nostre mani». Gli ha fatto eco l'altra storica leader dell'opposizione Corina Machado per la quale «sono stati 20 anni di lotta infaticabile e epica contro la tirannia. Contiamo con il vostro fermo appoggio all'imminente liberazione del Venezuela».
A sera l'ultimatum del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton ai vertici delle istituzioni venezuelane fedeli a Maduro: il ministro della Difesa Vladimir Padrino, il comandante della Guardia d'Onore presidenziale Ivan Hernandez, direttore del controspionaggio militare e a Maikel Moreno, presidente della Corte suprema. Per Bolton: «Tutti hanno concordato che Maduro se ne deve andare».
Da registrare in molte parti del Paese numerose manifestazioni di solidarietà tra una popolazione allo stremo e parte delle forze armate. Ieri il regime ha censurato Cnn in spagnolo, Bbc ma soprattutto Rcr, la Radio più ascoltata a Caracas dove oggi si preannuncia un primo maggio di fuoco. PMan- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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