
Donald Trump prova ad uscire dall'angolo nella vicenda Epstein che, per la prima volta dal suo ingresso in politica, rischia di incrinare il rapporto con la sua base Maga. Dopo avere trascorso gli ultimi giorni lontano dalle telecamere e avere prodotto una serie infinita di post su Truth, spaziando su qualsiasi argomento purché lontano dal caso in questione, il tycoon si è consegnato nello Studio Ovale alle domande dei giornalisti, in occasione della visita del presidente filippino Ferdinand Marcos Jr.
Non prima, però, di avere dato disposizioni per placare l'inquietudine del suo elettorato e di una parte della base parlamentare in rivolta, che non ha accettato il comunicato con il quale la ministra della Giustizia Pam Bondi aveva chiuso la vicenda: "Nessuna prova" che il finanziere pedofilo, ex amico di Trump, sia stato ucciso in carcere; "nessuna prova" che Jeffrey Epstein nascondesse una "lista segreta" di clienti eccellenti dei suoi festini con centinaia di minorenni. La stessa Bondi che a febbraio aveva assicurato: "Ho la lista di Epstein sulla mia scrivania. La stiamo esaminando". Una posizione, quella di Bondi, divenuta ancora più insostenibile dopo la rivelazione del Wall Street Journal di una lettera a dir poco ambigua inviata da Trump a Epstein in occasione del 50° compleanno del finanziere. Non è un caso, quindi, che l'incontro di Trump con la stampa sia avvenuto dopo che il numero due di Bondi, il vice procuratore generale Todd Blanche (ex avvocato personale di Trump) annunciasse in mattinata che il dipartimento di Giustizia e l'Fbi "incontreranno" Ghislaine Maxwell, l'ex fidanzata di Epstein, che sta attualmente scontando 20 anni di carcere per la sua complicità nei traffici sessuali del finanziere, "per ascoltare ciò che ha da dire".
Eppure, a conferma della sfiducia che circonda ormai l'amministrazione nella gestione della vicenda, una commissione della Camera votava (a voto segreto) per la convocazione della stessa Maxwell. E lo speaker Mike Johnson era costretto ad anticipare la pausa estiva per evitare un voto dell'aula nel quale i repubblicani più recalcitranti - e i democratici - avrebbero sicuramente approvato una mozione per desecretare le carte su Epstein ancora in possesso dell'Fbi.
Questo il clima nel quale Trump, facendo sfoggio di normalità, definiva "appropriata" la decisione del dipartimento di Giustizia di interrogare Maxwell, pur sostenendo di "non saperne molto". Il presidente non poteva esimersi dal definire la vicenda una "caccia alle streghe". E tuttavia, i toni erano ben diversi da quelli con i quali aveva bollato l'intera faccenda come una "bufala" e una trappola dei democratici nella quale erano caduti i suoi "deboli" sostenitori Maga. L'imbarazzo di Trump era però evidente nel tentativo di sviare subito l'attenzione sulla vicenda, lanciandosi in un attacco a testa bassa contro il "capobanda" e "traditore" Barack Obama, Hillary Clinton e Joe Biden, colpevoli di avere "truccato" o tentato di truccare tutte le elezioni a partire dal 2016.
Lo spunto, il rapporto prodotto dalla direttrice della National Intelligence Tulsi Gabbard, che con tempismo quantomeno sospetto accusa i vertici Dem di avere tramato per impedire l'elezione di Trump, nonostante diverse indagini, anche del Congresso, abbiano sempre smentito questa narrazione. "Accuse bizzarre e ridicole", la replica dello staff di Obama.