È ormai questione di giorni, al massimo di un paio di settimane. Poi la crescita dell'epidemia dovrebbe rallentare. «Siamo sul plateau, ossia su un picco pianeggiante che può durare alcuni giorni, poi auspicabilmente inizierà la discesa, sempre se manteniamo la guardia alta» conferma il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità Silvio Brusaferro.
Quindi, come ogni guerra che si rispetti, è questo il momento di preparare l'attacco finale al nemico. Per non farsi cogliere impreparati nella fase finale dell'epidemia e sferrare pochi colpi ma giusti. Il rischio, secondo la comunità scientifica, è che di fronte a numeri (seppur parziali) più leggeri si possa abbassare la guardia. Quello sarebbe l'errore più grande, perché il virus avrebbe il tempo di «riorganizzarsi» e ripartire.
Il PIANO DEI VIROLOGI
Il piano finale, quella che gli epidemiologi definiscono la fase 3, conta su due armi fondamentali: lo stare a casa di massa - e subito dopo una ripresa graduale e protetta - e i tamponi. Finora i test hanno cercato di inseguire un contagio troppo dilatato per poterlo misurare, troppo sfuggente e infinitamente più grande rispetto alla nostra capacità diagnostica. Ma a breve diventeranno lo strumento per dare il colpo di grazia al virus.
«Quando l'andamento dei contagi diminuirà - spiega il virologo dell'Università Statale di Milano Fabrizio Pregliasco - avrà senso tornare a fare i tamponi. Servirà a isolare i focolai nascenti in zone magari che non ci aspettiamo. Accade sempre così quando i dati dell'epidemia sono in calo. C'è una sorta di effetto paradosso per cui si riaccendono i contagi in alcune zone. I tamponi serviranno per isolare sul nascere e spegnere immediatamente quei focolai. Così come servivano nella fase iniziale dell'emergenza per ricostruire la rete di contagi e i contatti dai pazienti». Poi il rapporto tra malati e casi positivi (diagnosticati) si è sbilanciato talmente tanto che, nelle regioni più colpite come la Lombardia, è perfino diventato irrilevante fare test a tappeto. Cosa che invece Pregliasco ha sempre suggerito alle regioni in cui il virus è meno diffuso.
In attesa del giorno in cui i numeri scenderanno e avrà ancora senso fare i tamponi, è necessario tenere care le scorte, che - confermano nei laboratori di microbiologia dell'ospedale Sacco - cominciano a esaurirsi. «Ci serviranno - confermala virologa Maria Rita Gismondo - per preservarci da un possibile ritorno dell'epidemia. Al momento infatti non sappiamo se esiste una possibilità di reinfezione dopo la guarigione dei pazienti e dobbiamo prepararci a tutto».
LA BATTAGLIA IN ATTO
La battaglia contro il virus si sta spostando dal fronte delle terapie intensive, dove finalmente gli accessi cominciano a diminuire, al territorio. È nelle case che la gente sta cercando di battere il virus. Molti ancora senza diagnosi, altri isolati e poco seguiti. I medici di famiglia chiedono di potenziare il personale per l'assistenza a domicilio e di proteggerlo da possibili contagi con mascherine e tute.
L'ALTERNATIVA AI TAMPONI
Per non intasare il circuito, inflazionatissimo, dei tamponi e non appesantire il lavoro dei laboratori, che già viaggiamo sulle 300 diagnosi al giorno, molti medici propongono vie alternative per capire se un paziente è realmente malato di Covid o meno. In Veneto sta per partire una nuova sperimentazione, messa a punto da Mario Plebani, dipartimento di Medicina di laboratorio dell'azienda ospedaliera di Padova e da Giuseppe Lippi, unità operativa complessa Laboratorio analisi dell'ospedale di Verona.
Si tratta di un progetto per la diagnostica sierologica, cioè un prelievo di sangue da cui si misura la presenza di Covid.
Anche nelle Rsa ci si è organizzati per scovare il virus senza tamponi.
In alcune residenze per anziani in Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Sicilia e Lazio è stato avviato lo studio GeroCovid per cercare i sintomi sentinella grazie agli esami ematochimici come l'emocromo e la Pcr o a test diagnostici legati all'apparato muscolare come il test del cammino.
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