Politica

La guerra generazionale che ha ucciso la solidarietà

I vecchi non cederanno un euro, staranno lì sul fronte della pensione a difendere quello che è rimasto dell'età dell'abbondanza. Hanno una sessantina d'anni e sono arrivati alla grande abbuffata quando il pranzo era più o meno alla frutta. Non si sentono privilegiati. Non pensano che stanno rubando qualcosa a qualcuno e, detto fra loro, neppure gli interessa. Ogni età ha la sua pena. E poi non sono certo loro quelli che hanno fatto bingo con le pensioni. Si prendono più o meno quanto versato allo Stato. Ti sbattono in faccia le vecchie buste paga. Trattenute. Contributi previdenziali. È una vita che pagano e adesso non permetteranno a nessuno di cambiare le regole del gioco. I patti (...)

(...) sono patti, non li cambi alla fine. Molti di loro non sono andati o andranno in pensione con il retributivo, quella possibilità di investire sulla vecchiaia, paghi tot e ricevi tot più interessi. È la generazione del misto. I salvati a metà, ma con la paura quotidiana di finire nel limbo degli esodati, affogando a un passo dalla riva. Ora se voi chiedete a costoro se sono preoccupati per i giovani la risposta è: «Sono preoccupato per me». Ma sono i vostri figli? «Spero di salvare mio figlio. È un soccorso familiare. Lo Stato deve restare fuori da questa storia». Cinici. Cattivi. Egoisti. Forse. Però qualche giorno fa uno spiegava così le proprie ragioni: «Nessuno si è preoccupato quando i miei vecchi hanno fregato me. E tra quei vecchi c'erano anche i miei genitori. Mia madre è una baby pensionata. Per mio padre la pensione era più o meno l'ultimo stipendio». È questa la guerra generazionale.

Adesso il rischio è che non si facciano più prigionieri. Non c'è solidarietà perché pochi se la possono permettere. Non ci sono più i soldi e il sistema previdenziale di fatto è fallito. I giovani non solo non possono pagare la pensione ai vecchi, ma faranno di tutto per eludere i contributi. Non è difficile. Non lavorano e se lavorano hanno stipendi che non pareggeranno quelli dei padri. Non avranno pietà. Si sentono confinati nella terra di nessuno, fuori dalle mura dei garantiti. Sono arrivati al pranzo quando tutto è finito e le porte sono chiuse. Invidiano la certezza borghese del posto fisso. Fanno i conti con lo smarrimento di chi non ha uno straccio di mappa e punto fermo. Vedono i vecchi come ladri di futuro ed è una cosa difficile da perdonare. Hanno capito che per sopravvivere devono ammazzare padri e madri, e si portano in petto un leggero senso di colpa. Sono stati addestrati al cinismo e non piangeranno. Non è una cosa nuova. Pirandello nel 1913 scrisse un romanzo che racconta quegli anni e sono anni simili a questi: I vecchi e i giovani . È l'incompatibilità tra gli ultimi figli del Risorgimento e i ragazzi del Novecento, e uno di loro canta: «Mangia il Governo, mangia la Provincia; mangia il Comune e il capo e il sottocapo e il direttore e l'ingegnere e il sorvegliante... Che può avanzare per chi sta sotto terra e sotto di tutti e deve portar tutti sulle spalle e resta schiacciato?».

In mezzo a queste due sponde c'è la generazione X, sono quelli nati fra la fine dei Sessanta e l'inizio degli Ottanta. Ricordano gli anni dell'abbondanza, ma del pasto hanno mangiato le briciole. Sono cresciuti ottimisti e stanno invecchiando con il disincanto. Solo loro possono trovare un patto generazionale. Sono la staffetta tra gli uni e gli altri.

C'è un solo problema: la generazione X finora ha sempre perso.

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