La legge dei veti che fa il gioco di Putin

L'unità e la compattezza della Ue e dell'Occidente sono gli unici strumenti che fanno davvero paura al Cremlino

La legge dei veti che fa il gioco di Putin
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Se come nel gioco dei puntini della settimana enigmistica si congiungessero con la matita le date e i luoghi degli inconvenienti alle cabine elettriche adiacenti agli aeroporti (a cominciare da Heatrow), dei blocchi nel sistema Gps, degli sconfinamenti di droni e di aerei nei paesi NATO (Polonia, Romania, Danimarca, Paesi Baltici ormai non si contano più) verrebbe fuori raffigurata la facciata del Cremlino. A parte le mezze verità e i mezzi "sì" dei Paesi dell'Alleanza a cui non piace ammettere la propria debolezza e le smentite russe, nette quanto scontate, quello che emerge sono le coincidenze e il metodo che si scorge dietro al fenomeno: le stranezze, gli incidenti, le violazioni dei cieli nazionali avvengono puntualmente ogni volta che quel paese o quell'altro assumono decisioni pregnanti in aiuto dell'Ucraina. È un meccanismo scientifico, quasi automatico: gli aereoporti inglesi subiscono inconvenienti quando la Gran Bretagna è il paese Occidentale che più si espone nella difesa dell'Ucraina; i droni appaiono sullo spazio aereo danese quando Copenaghen acquista sistemi anti-missilistici da girare a Kiev e su quello norvegese quando Oslo entra nella classifica dei principali paesi europei per la fornitura di armi all'esercito di Zelensky; e ancora la pressione russa verso Polonia, Lituania, Estonia e Lettonia è proporzionale all'aumento dell'impegno nell'ultima fase di questi paesi in favore di Kiev.

Si tratta di avvertimenti per non dire minacce che Putin riserva all'Europa con l'intento di dividerla usando uno strumento che l'Unione Sovietica riservava ai suoi paesi satelliti: la paura. Uno strumento vecchio come il cucco, caratteristico delle autocrazie. Utilizzato soprattutto quando il campo delle democrazie dà segni di cedimento o si divide. In questa logica il primo anno di presidenza Trump è stato nefasto. L'attuale inquilino della Casa Bianca ha demolito l'idea di un Occidente unito: nel discorso fiume di ieri all'assemblea dell'Onu, stile Fidel Castro, i principali bersagli del tycoon paradossalmente sono stati l'Europa e l'Onu. Addirittura ha addebitato all'Unione la responsabilità delle mancate sanzioni statunitensi alla Russia, prendendo a pretesto il petrolio che i paesi Ue comprano da Mosca. Solo che quel richiamo più che una legittima condizione per agire contro l'amico Vladimir, nella parole del Presidente Usa ha avuto il sapore di un alibi accampato per non agire. È evidente che di fronte alle incongruenze, alle divaricazioni, alle polemiche che dividono l'Occidente il Cremlino oserà sempre di più: succedeva ai tempi della Guerra fredda, figuriamoci oggi. Stesso discorso vale per l'Europa: se basta il veto dell'Ungheria per bloccare l'adesione dell'Ucraina alla Ue è naturale che Putin sia incoraggiato a perseverare nelle sue provocazioni. In fondo l'abolizione del diritto di veto nella UE sarebbe uno dei messaggi più efficaci che l'Europa potrebbe inviare a Putin. Equivarrebbe come deterrente alla peggiore delle sanzioni.

Appunto, l'unità e la compattezza della Ue e dell'Occidente sono gli unici strumenti che fanno davvero paura al Cremlino. Un concetto che Trump (non si sa se in buonafede o meno) e Orban (in malafede) stentano a comprendere.

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