Politica

La guerra tra Pd e M5S a colpi di magistratura

Lo scontro sarà l’evento che dominerà la politica italiana nei prossimi mesi, ma in questo conflitto di sicuro il Paese ha già perso

La guerra tra Pd e M5S a colpi di magistratura

Quello che accade in questi giorni nelle stanze delle procure italiane appare a tutta prima il riflesso di uno scontro politico tra Pd e M5S. Se si guarda all’ordine dei fatti per come si sono succeduti, si scoprirà che questa ipotesi non è poi così ardita. Solamente due mesi fa deflagrava in tutta la sua portata il caso del ministro Guidi, colta al telefono mentre si prodigava per il suo compagno Gianluca Gemelli, interessato all’approvazione di un emendamento che di fatto ha procurato, indirettamente o meno, dei vantaggi alla sua azienda. Appena questa intercettazione finisce sulle prime pagine dei giornali, il Ministro Guidi prontamente si dimette e finisce nell’occhio del ciclone Maria Elena Boschi che quell’emendamento ha fatto approvare, in quanto prerogativa del Ministro delle Riforme. Il livello dello scontro sale e il 26 aprile finisce nel registro degli indagati anche il presidente del PD campano, Stefano Graziano, per concorso esterno in associazione camorristica.

La magistratura, da sempre uno dei poteri di riferimento della sinistra italiana, sembra essersi messa contro uno dei suoi tradizionali referenti politici. Superfluo ricordare l’idillio tra ex PCI e Mani Pulite del 1992, grazie al quale il neonato PDS si conquistò il mito della purezza “giustizialista”. Un mito iniziato anni prima dal segretario del PCI Berlinguer mettendo la “questione morale”, tra i comandamenti da osservare del suo testamento politico. Il testimone della questione morale ora è passato dalle mani della sinistra liberal e soprattutto M5S, che denuncia il fallimento e il tradimento della classe dirigente del PD nell’osservanza di quei valori che mettono al primo posto l’ onestà.

Il pensiero corre indietro ad un incontro tenutosi a Roma lo scorso novembre, alla presenza del direttore di Mega Flores D’Arcais, uno dei più convinti sostenitori del giustizialismo politico, e di Alessandro Di Battista, davanti al quale si è consumata una cerimonia di incoronazione del M5S come portavoce principale della questione morale. Il metro della purezza per questa scuola di pensiero, fino ad ora, era l’immunità da qualsivoglia inchiesta giudiziaria. Non ha importanza se l’imputato è più o meno colpevole in tutto questo, quel che conta è che egli è stato macchiato da un’indagine:1992 docet. E’ poi il circuito dell’informazione a fare il resto e a disseminare su ogni pagina e schermo televisivo la sentenza di condanna mediatica dell’imputato di turno. Questa immunità poteva essere rivendicata a testa alta dall’ideologia grillina, ma ad oggi sembra irrimediabilmente perduta. Il sindaco di Livorno del M5S, Nogarin, è stato indagato per reati fallimentari relativi alla gestione dell’azienda dei rifiuti, e il sindaco grillino di Parma, Federico Pizzarotti, risulta ora indagato per abuso d’ufficio e corruzione.

Si può dire che è in corso una guerra tra due poteri, due distinte anime della magistratura, facenti capo rispettivamente al PD e al M5S? Quale che siano le leve che hanno messo in moto questo meccanismo, è certo che gli ingranaggi rischiano di stritolare in misura maggiore il M5S. Cosa potrà dire ora di fronte a questa offensiva che vede coinvolti due dei suoi esponenti più in vista a livello di amministrazioni locali? Il sindaco Nogarin era pronto a dimettersi, sulla scorta di un semplice avviso di garanzia, ma è stato placcato dal pronto intervento di Grillo che gli ha ordinato di rimanere al suo posto. Rassegnare le dimissioni, secondo questa ideologia giustizialista, è il passo indietro da farsi quando si viene toccati anche da una sola indagine. Ma al tempo stesso, da un punto di vista giuridico, l’avviso di garanzia non prova alcunché e non assevera nessuna responsabilità penale dell’imputato. Dimettersi potrebbe sembrare indirettamente un’ammissione di colpevolezza. Ed ecco che si rimane incastrati dalle stesse idee per cui ci si è tanto battuti. Adesso a finire nel mirino delle indagini c’è Pizzarotti, per reati ancora più gravi del suo collega di Livorno.

Se M5S finisce con il perdere la sua verginità giudiziaria, quale sarà la ragione per votare il movimento pentastellato? Quel che rileva in tutto questo è la mutazione non solo identitaria del M5S, passato da apparato anti-sistema, a movimento in cerca di legittimazione dai poteri forti, un tempo tanto disprezzati. Il buon Di Maio dopo aver fatto il giro della City di Londra, si era seduto a tavola con gli esponenti della Trilateral, e ora si preparava a un viaggio negli USA per completare il suo tour istituzionale. Quei poteri atlantici che avevano fatto del PD il partito di riferimento dell’establishment, hanno evidentemente rivolto la loro attenzione a M5S, come successore in questo ruolo. Le inchieste giudiziarie contro M5S rischiano di mandare all’aria questo avvicendamento, perché qualcuno a palazzo Chigi vuole vendere cara la pelle.

La guerra PD-M5S sarà l’evento che dominerà la politica italiana nei prossimi mesi, ma in questo conflitto di sicuro il Paese ha già perso.

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