Milano Tutto inventato. I pedinamenti, gli avvertimenti in stile mafioso con mascelle di maiale spedite a domicilio, le aggressioni a vecchie madri. Nel vortice di accuse che i figli di Bernardo Caprotti, creatore di Esselunga, hanno lanciato contro il padre, la Procura milanese si è districata con fatica, muovendosi nei meandri di una dinasty familiare dove si incrociano interessi economici, frustrazioni professionali e dinamiche da lettino dello psicanalista. Risultato finale: l'unico a finire sotto processo, l8 giugno dell'anno prossimo, sarà Giuseppe Caprotti, primogenito di Bernardo, accusato di avere diffamato il padre. E sarà lì, in pubblica udienza, che anni ed anni di veleni dovranno venire districati in forma di sentenza. Chi è davvero Bernardo Caprotti? Un padre padrone che ha cercato con mezzi leciti ed illeciti di privare i suoi figli dei loro diritti? O un imprenditore di ferreo rigore, che ha sacrificato anche gli affetti familiari agli interessi dell'azienda?
Per il pubblico ministero Luca Gaglio, la risposta è netta. Il torto sta tutto dalla parte di Giuseppe, e la ragione sta al vecchio Bernardo. E nelle carte dell'indagine di Gaglio, d'altronde, c'è un passaggio che la dice lunga sul modo in cui la dinasty dei supermercati è diventata cibo per rotocalchi: un interrogatorio in cui Giuseppe Caprotti ammette che «i miei collaboratori negoziavano con i giornalisti l'uscita di articoli sulla vicenda dei contrasti legali, fornendo materiale e gestendo il testo finale degli articoli». In questo modo, per anni la saga dei Caprotti è stata raccontata al pubblico dalla parte dei figli.
A riprova di quanto per la Procura sia netta la colpevolezza di Giuseppe Caprotti, c'è la scelta del pm Gaglio di spedire l'erede dell'impero sotto processo senza neanche passare per l'udienza preliminare. Caprotti junior dovrà rispondere di due accuse false lanciate contro il padre attraverso il proprio blog: avere cercato di sottoporlo a perizia psichiatrica, e avere cercato di buttare malamente fuori di casa la padre Marianne durante un litigio familiare. Mentre invece il pm ha chiesto il proscioglimento di Bernardo Caprotti dall'accusa di «atti persecutori», ovvero stalking, di cui il figlio sostiene di essere stato vittima: e la cui unica traccia certa è un pedinamento che un detective privato realizzò, senza violare alcuna legge, come spesso accade nelle attività di security delle aziende. Come presunti mandanti del pedinamento, erano stati iscritti nel registro degli indagati il vecchio Caprotti e il capo della sicurezza di Esselunga, Massimo Opinio Cutillo, ma la Procura ha chiesto il proscioglimento. Alla decisione del pm però si è opposta Violetta Caprotti, l'altra figlia di Bernardo, alleata del fratello: la quale sostiene di avere visto i «metodi» di Cutillo anche in una serie di telefonate arrivate nella sua casa in Costa Azzurra. E anche di questa opposizione si dovrà occupare un giudice.
Insomma, tira aria di redde rationem . Una faida familiare che finora si era combattuta solo nelle aule della giustizia civile, tra arbitrati e ricorsi vari, finisce davanti alla giustizia penale, e non è mai un bel momento. In sede civile, per ora, ai figli del fondatore è andata decisamente male. La decisione, presa nel 2011 dal padre, di riprendere nelle sue mani il pacchetto di controllo dell'azienda è stata ratificata sia da un arbitrato che da una sentenza della Corte d'appello, e ora le ultime speranze di Giuseppe e Violetta sono affidate ad un ricorso in Cassazione.
Come si sia arrivati a questo punto è un mistero.
Caprotti non ha mai spiegato con chiarezza i motivi che lo portarono dapprima a licenziare il figlio e poi a estrometterlo dalla catena di comando. Ma sta di fatto che la «maledizione della seconda generazione» che da sempre attanaglia la grande impresa italiana ha colpito ancora.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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