Se la intimazione del Commissario europeo alla concorrenza Margaret Verstager ad Apple di versare all'Irlanda 13 miliardi di euro per imposte sui profitti non pagate dal 2003 al 2016 più gli interessi andasse a buon fine, l'Italia perderebbe il diritto ai 308 milioni ottenuti da Apple per imposte evase per alcuni anni sino al 2013, mediante un patteggiamento che riguardava 800 milioni. Le imposte sui profitti, in base alle regole internazionali sulla doppia imposizione, vanno pagate ove il reddito è prodotto da una entità operativa autonoma e non già presso la casa madre o presso una filiale, come l'irlandese, in cui Apple ha posto la sua sede centrale europea.
Il tribunale di Milano ha accertato che Apple opera in Italia sia con i negozi appositi sia con la rete Internet, mediante una organizzazione italiana. Attribuendo fittiziamente all'Irlanda il profitto creato in Italia, Apple pagava una imposta minore di quella dovuta, forse con la complicità di Dublino che può aver chiuso un occhio in quanto Apple occupa a Cork, una città Irlandese di 120mila anime, ben 5mila addetti e ne assumerà altri mille entro il 2017. Vi è chi critica la nostra Agenzia delle entrate, sostenendo che poteva fare di più o aspettare che la Commissione europea facesse la mega mossa anti Apple per inserirvisi. Ma, giocando di anticipo abbiamo cominciato a portare a casa un po' delle imposte di nostra competenza, che ci sfuggono mediante operazioni di elusione, da parte di compagnie operati in più Paesi, in particolare per le vendite in rete.
Non è chiaro perché il Commissario europeo alla concorrenza chieda ad Apple una somma di 13 miliardi per imposte dal 2003 ad oggi, violando la regola di non retroattività dei tributi, che può essere superata solo se si dimostra che c'è un reato e che non è prescritto. Non è chiaro perché il Commissario sostenga che queste imposte sono dovute all'Irlanda, mentre in molti casi esse sono dovute ad altri stati dell'Europa o forse in parte - agli Usa.
Coloro che esultano per la maxi richiesta di 13 miliardi ad Apple a favore dell'Irlanda, che li rifiuta, non si rendono conto che l'Italia rischia di perdere il diritto ad avere imposte che le competono. Né si rendono conto che il fisco americano non fa una mera questione di principio. Fa una questione di soldi, perché nel diritto vigente il fisco del Paese di origine deve riconoscere alle proprie imprese operanti all'estero un credito di imposta di pari ammontare per i tributi pagati colà. Guarda caso Volkswagen deve pagare 14,7 miliardi di dollari ossia 13 miliardi di euro agli Usa per aver violato, con motori non a norma, le regole colà vigenti. Deutsche Bank ha pagato 2,5 miliardi di sanzioni agli Usa per aver manipolato i dati sul tasso Libor.
La guerra che ora l'Europa fa al Tesoro americano sta generando danni notevoli alle relazioni commerciali e finanziarie fra le due aree, mentre queste si dovrebbero rinsaldare anche perché abbiamo un interesse comune contro il terrorismo e per i problemi della Libia. Frattanto si blocca la conclusione del trattato fra Usa e Europa «Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip)» avversato dai no global e da corposi interessi protezionistici.
Ancora una volta, l'Italia, come nel caso delle sanzioni europee alla Russia, è fra i paesi che ne fanno le spese. Ciò dopo che noi abbiamo sborsato un mucchio di euro per aiutare le banche irlandesi e il governo di Dublino a risollevarsi dal disastro in cui erano caduti.
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