L'intervento in commissione per togliere potere al ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani sulle maxi-opere del Pnrr è solo l'ennesimo indizio. Ora che Giuseppe Conte ha preso il timone del M5s può cominciare la guerriglia. Un momento atteso dall'autoproclamato avvocato del popolo italiano, ansioso di mettere i bastoni tra le ruote a quello che considera una sorta di «usurpatore». Quel Mario Draghi che ha preso il suo posto a Palazzo Chigi. Il giurista e il banchiere si vedranno oggi alle 11 a Chigi e il clima non è dei migliori.
Ad accentuare le preoccupazioni di chi teme che Conte voglia destabilizzare l'esecutivo di larghe intese c'è l'episodio accaduto venerdì nelle Commissioni Ambiente e Affari Costituzionali della Camera. All'esame c'era il Decreto «Semplificazioni». Si votava, tra le altre cose, un emendamento a firma del grillino Alberto Zolezzi che stabilisce che «laddove lo richieda almeno una delle commissioni parlamentari competenti a maggioranza dei 2/3», i progetti inseriti nel Pnrr possono essere modificati. La modifica è passata con i voti di dem e pentastellati, il governo è andato sotto.
Approvata una norma che consente al Parlamento di stoppare le decisioni del MiTe sulle grandi opere da finanziare con i fondi del Recovery. Cingolani - che era stato inserito dal M5s tra i suoi ministri - sta minacciando le dimissioni.
Stavolta nemmeno Beppe Grillo si opporrebbe al Vietnam dei contiani. Il fondatore, inventore del ministero affidato al fisico, nel suo sfogo-show con i deputati del 24 giugno scorso aveva detto che con Cingolani rischia di finire in un «bagno di sangue».
Il titolare della Transizione Ecologica provoca mal di pancia un po' in tutto il gruppo parlamentare, nonostante in ambienti vicini ai governisti del M5s si tenda a sminuire l'episodio di venerdì. «Ma secondo me non si sono nemmeno accorti di quello che stavano facendo», dice al Giornale una fonte grillina di governo.
Il fronte più caldo della guerriglia dei contiani è la giustizia. Conte ribadirà oggi a Draghi che il testo della riforma della prescrizione così com'è non va bene. L'obiettivo è tentare di alzare la tensione e smarcarsi mediaticamente da certe scelte dell'ex governatore della Bce.
Tirare la corda, perché spezzarla è difficile, dato che la maggioranza dei parlamentari del M5s non sarebbe disposta a salire sull'ottovolante della crisi. Nel gruppo c'è la consapevolezza che un passaggio all'opposizione finirebbe con il provocare, inevitabilmente, il voto anticipato nel 2022. Eppure dietro ogni tema c'è un potenziale casus belli. A cominciare dal reddito di cittadinanza. Conte ha già detto che il sussidio è blindato, al massimo migliorabile. Prevedibile lo scontro con il centrodestra e con Matteo Renzi. Nel campo dei fedelissimi di Conte ogni scusa è buona per disseminare trappole. Alcuni parlamentari eletti al Sud hanno protestato contro un'altra norma del decreto «Semplificazioni», che secondo loro sottrarrebbe fondi del Pnrr destinati alle aree interne del Mezzogiorno. E poi c'è la riforma fiscale, già nel mirino dell'ex premier. Quindi il cashback, rivendicato dal neo-presidente dei Cinque Stelle. Draghi ne ha annunciato lo stop, ma Conte è pronto a rilanciare.
Lo scontro tra governisti e contiani stava rischiando di far saltare il Cda della Rai.
Le proteste di alcuni grillini contro Alessandro Di Majo, indicato dal fresco leader del M5s, hanno causato un'altra giornata di tensione mercoledì. E adesso c'è chi teme imboscate stellate in Commissione Vigilanza sul voto, previsto mercoledì prossimo, per ratificare la nomina della presidente di Viale Mazzini Marinella Soldi.
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