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Ha lasciato una brillante carriera per soccorrere i piccoli martoriati dalla guerra

Luca Lo Presti, 52 anni, presidente della Fondazione Pangea, si definisce un pazzo. Negli anni Novanta, tra i pochi dental designer presenti in Europa, rendeva armoniosi i volti alterati dalla moda della bocca carnosa con delicati interventi sulla dentatura. Poi di punto in bianco ha «adottato» 262 bambini rumeni e ha regalato le quote degli studi odontoiatrici ai suoi soci. La sua attuale compagna, Maria Luisa Pianegonda, ha fatto la stessa scelta e lo segue in tutto il mondo, per cambiarlo in meglio.

«Ho capito che se tu parli della moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma hai una visione miracolista, il tuo percepito è parziale. Ma se capisci la metafora evangelica e che due pezzi di pane e due pesci possono affamare più persone dividendoli, impari la condivisione e una visione della vita legata all'amore e alla speranza di un mondo più bello».

E questo mondo più bello lo hai trovato?

«Sto cercando di costruirlo. È stato un percorso lungo, iniziato a diciotto anni con un viaggio in India, senza piena consapevolezza della realtà totale che invece ho cominciato a scoprire quando stavo per rientrare in Italia e, con la mamma di mio figlio, passando a piedi sotto il ponte che porta all'aeroporto un bambino si è avvicinato con le mani tese per ricevere qualcosa. Lei gli ha dato un oggetto dallo zaino e ne sono arrivati altri a cui abbiamo dato tutto ciò che avevamo. Ma era rimasta una bambina alla quale la mia ex ha regalato le scarpe che aveva ai piedi. È lì che abbiamo deciso di rimanere. Siamo tornati in Italia dopo aver attraversato per mesi l'India a piedi, scoprendo realtà inimmaginabili. Facevamo avanti e indietro, nel frattempo ho studiato, ho fatto il militare, ho cominciato a lavorare».

Quando hai deciso di lasciare il tuo lavoro?

«C'è stato un percorso interiore dove incontri ed esperienze mi hanno portato verso una nuova direzione. Devo molto a Selene Galloni, che mi ha portato nella sede di Amnesty dove ho capito che tutto quello che avevo visto fino a quel giorno aveva un senso. Quando sai che lì c'è una violazione dei diritti umani, allora devi decidere cosa è importante fare. Ho cominciato a fare volontariato. Nel tempo libero mi recavo come ricercatore in zone di guerra: Afghanistan, Pakistan, India, Nepal».

Quando hai «adottato» i 262 bambini rumeni?

«Nel 2002 sono andato in Romania per fare un monitoraggio richiesto dall'Europa, che aveva messo a disposizione tanti soldi per la chiusura degli istituti totali (orfanotrofi, manicomi) e il reinserimento delle persone in società. Sembrava tutto perfetto. Così ho pagato un autista e gli ho chiesto di farmi vedere qualcosa di vero. Mi portò in un orfanotrofio dove c'erano bambini dai due agli undici anni legati, sporchi, malnutriti. Autistici per le torture subite. Un inferno che cerco ancora di cancellare dalla memoria. Provavo pena e molta rabbia. Volevo combattere tutto ciò».

Non avevi paura di ritorsioni?

«Il governo aveva deciso di cancellare quel posto. Buttarono fuori i duecentosessanta bambini per farli sparire. Li ho sentiti piangere al telefono, c'era chi urlava. Così, d'impulso, ho detto: "Li prendo io." Chiuso il telefono sono quasi svenuto. Ho chiesto aiuto al mondo intero. È solo un problema di soldi, mi dicevano. Tutto si risolve. Ma come li trovo i soldi?».

Dio ama i pazzi buoni..

Esatto. Mi consegnarono le chiavi e un registro con le foto dei bambini dicendo che potevo portare via solo quelli. Andai a cercarli perfino nelle fogne. Ne recuperai centottanta, degli altri non seppi più nulla. La notizia era giunta in Italia e un amico un giorno mi disse di presentarmi a un certo indirizzo di Brera. Lì un signore distinto a cui sarò grato per sempre, staccò un assegno di duecentosessantamila euro. E insieme a quei soldi nacque la fondazione Pangea.

Cosa fate in Italia?

Dal 2008 ci occupiamo di violenza assistita, che purtroppo riguarda i bambini. Una guerra invisibile che fa milioni di Vittime. Sosteniamo i centri antiviolenza e abbiamo portato anche qui l'esperienza del microcredito. Oggi sto cercando soldi per far tornare il sorriso alle donne. Un progetto che chiamo amore. Perché vedi, portiamo mamme e bambini fuori da quell'inferno, diamo loro nuove possibilità, un lavoro, gli avvocati, gli psicologi. Ma poi le guardi e vedi che i loro occhi non sorridono. Ecco, noi abbiamo un progetto per farle ridere ancora, con l'anima.

Abbiamo solo bisogno di sostenitori».

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