da Amatrice
Luigi è abituato a parlare con il buio. Nel buio sa riconoscere le strade, gli angoli di casa, gli umori della gente, come se un radar dell'oscurità lo guidasse sempre, anche quando nessuno vede. Luigi è non vedente ma quando tutto è scuro sa più degli altri. Perché non ha paura. Quando non si vede il buio diventa amico, per un cieco il buio non esiste.
Poi arriva un giorno in cui il dialogo con il buio ha un senso. Succede magari in un momento, in quel tempo più piccolo di un minuto, ma interminabile per chi lo vive, in cui questa confidenza che non è di nessuno, un dono nella disgrazia, è una luce in una notte di diavoli, quando la casa inizia a piegarsi a contorcersi e intorno, in tutto il paese, piomba la pece più nera del cielo.
Alle 3 e 36 del 24 agosto Luigi nel buio sapeva. Sapeva cosa fare. Come muoversi, dove dirigersi mentre la sua Amatrice cadeva in pezzi e sua moglie gli gridava accanto. «Nel buio io riesco a muovermi con disinvoltura, ci sono abituato». Il buio è la sua vita, e la notte del terremoto è stata la salvezza sua e di Ernestina.
Luigi Leonardi Paris abitava in via del Castagneto, zona est di Amatrice, cinque minuti a piedi dall'hotel Roma, e stava dormendo quando è arrivata «la grande botta». Ha avuto la forza di rimanere davanti a quella casa che poteva essere una trappola anche dopo che tutto era finito. Le telecamere di Tv2000, la televisione dei cattolici, lo hanno inquadrato con i suoi occhiali scuri, di fronte alla sua casa con le pareti interne e i balconi sbriciolati, mentre raccontava della sua Ernestina, rimasta intrappolata sotto le macerie e che chiedeva aiuto. Ernestina vedeva, Luigi no. Per questo aveva meno paura. Il buio non c'è.
«Le pareti si sono sfondate e Ernestina aveva le macerie sulla gambe e sulle braccia». Gridava, piangeva e al suo fianco c'era lui, Luigi, infermiere in pensione senza la vista ma con una grande tempra. «La forza è l'unica cosa che ho», dice umile e orgoglioso. Con uno sforzo che solo la disperazione, l'istinto di sopravvivenza, un talento offerto proprio a chi ha una disabilità, come se la natura creasse sempre un equilibrio nella mancanza, Luigi è riuscito a sollevare quella parte di parete piombata su sua moglie: «E ho fatto uscire Ernestina». Anche una mano invisibile, una coincidenza, ha creato un varco nell'impossibile. La parete crollata aveva formato come un angolo su Ernestina, evitando che fosse completamente schiacciata. «Io non vedente. L'ho tirata fuori perché per me che non vedo mi è rimasto facile. Cioè facile». Si interrompe e un po' sorride, Luigi. Sembra una battuta. Non proprio una cosa di ordinaria amministrazione insomma, ma meno difficile che per gli umani. Luigi che non vede ha risorse da supereroe. Prima la forza, poi il fiuto nel buio. La strada per uscire a memoria. La consapevolezza di dove era la maniglia della porta, della distanza dal letto. Luigi ha abbracciato sua moglie, ma solo un secondo, poi l'ha portata per mano all'uscita della stanza. Non vedeva, ma usava il corpo con una precisione di millimetri. «In mezzo alle macerie, poi, le porte non si aprivano, era un disastro. Avevo timore che aprendo una porta si sfondasse la parete», dice Luigi, un viso dalle mascelle solide, con una calma che impressiona, come se sapesse che quello era il suo compito, facile in fondo, perché nella vita arriva il momento in cui si fa quello che si sa fare, e può succedere a tutti, anche a chi ha una disabilità. «Sono riuscito ad aprirla piano piano». Poi ancora veloce, e piano, davanti a un'altra porta. Come un gatto con gli occhi infallibili che salva un micino.
Immaginare di vivere un terremoto bendati è l'incubo più buio che si possa pensare. Ma Luigi ad Amatrice vedeva più degli altri. Si sapeva muovere come un funambulo su un filo a mille metri, e addomesticava la sua notte.
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