Londra - Brexit, di tutto e di più. Non si era ancora spenta l'eco delle durissime accuse alla Russia lanciate dalla premier May durante la cena di gala di lunedì sera alla Guildhall di Londra, che ieri i maggiori quotidiani nazionali se ne uscivano con il seguito della storia in prima pagina. La prima puntata si era conclusa con il primo ministro inglese che accusava il governo russo di usare i media come un'arma destabilizzante, influenzando le elezioni, hackerando siti governativi e minacciando l'ordine internazionale. «Sappiamo che cosa state facendo e non ci riuscirete», aveva detto May guardando dritto negli occhi il presidente Putin. Poche ore dopo, dal ministero della Difesa russo arrivava un tweet sibillino che mostrava May mentre beveva un calice di vino rosso e nel quale si leggeva: «Noi sappiamo quello che TU stai facendo. Cara Theresa speriamo che tu possa gustare il vino rosso di Massandra in Crimea», messaggio che in molti hanno interpretato come una minaccia neppure tanto velata.
Il giorno in cui tutto questo accadeva però, l'opinione pubblica ancora non era a conoscenza di quanto rivelato ieri dal Times e dal Guardian che hanno spiegato come la Russia avrebbe influenzato il voto sul referendum di Brexit, attraverso la piattaforma russa di Twitter. Secondo i dati rilevati da uno studio effettuato dalla Swansea University e dall'ateneo di Berkeley in California, nelle 48 ore che avevano preceduto il referendum, da 150mila account russi - che fino a quel momento si erano occupati soltanto dell'Ucraina - erano stati inviati ben 45mila messaggi su Brexit nell'intento più che evidente di seminar zizzania. Ora ci si chiede se May fosse a conoscenza dello studio la sera di lunedì, quando ha puntato il dito accusatore sulla Russia.
È probabile ed è certo che ha usato l'occasione per tentare di portare acqua al suo mulino nelle trattative sulla Brexit, invitando gli altri Paesi a proteggersi dalla minaccia russa. Del resto, mai come in questi giorni ha bisogno di alleati, se è vero che di accordi commerciali del dopo Brexit non si parlerà neppure nel prossimo meeting europeo di dicembre, come ha fatto capire ieri Manfred Weber, braccio destro di Angela Merkel invitato ieri a Downing Street dalla stessa May. Nelle stesse ore alle Camere si stava concludendo la prima fase dello scrutinio del Repeal Bill - cornice normativa che dovrebbe far confluire le leggi europee nella legislazione britannica - che già martedì aveva visto montare una mini rivolta di un gruppo di Tory guidati da Ken Clarke e sbattuti in prima pagina dal quotidiano conservatore Daily Telegraph come i «ribelli della Brexit».
Anche 17 laburisti hanno disobbedito alle istruzioni del leader Corbyn - che aveva chiesto di astenersi per non tradire la volontà popolare - votando contro il distacco della legislazione europea. Due soprattutto, i punti che suscitano particolare animosità.
Il primo è la volontà di inserire nella legislazione la data esatta di Brexit e la seconda è il conferimento al governo del potere di modificare le leggi senza passare per il Parlamento. Di tutto questo però non si discuterà fino al prossimo mese.
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