Hamas riprende il controllo della Striscia. Disarmo e "fase due" restano un rebus

Invece di cedere le armi i miliziani fanno piazza pulita dei rivali. Sulla forza internazionale ok solo dei turchi

Hamas riprende il controllo della Striscia. Disarmo e "fase due" restano un rebus
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"Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente". Lo diceva Mao, ma potrebbe ripeterlo Hamas. Anche perché di tutti i soggetti menzionati dal piano in 20 punti firmato a Sharm El Sheikh sembra l'unico in grado di dare segni di vita. O di morte, visto il ritmo a cui viaggiano nella Striscia le esecuzioni di "traditori" e "collaboratori". Su tutto il resto - dal disarmo dello stesso Hamas all'invio di una forza multinazionale, dalla formazione di un'autorità transitoria fino ai piani per la ricostruzione - aleggia un'incertezza assoluta. E ad aumentare la confusione contribuiscono Casa Bianca e autorità Usa.

Prendiamo le armi con cui Hamas sta riguadagnando il controllo della Striscia e facendo, nel contempo, piazza pulita dei clan nemici. Il primo a legittimarne l'operato era stato Donald Trump pronto, martedì scorso, a giustificare le esecuzioni nelle piazze di Gaza City. "Quello è ok perché si tratta di una paio di pessime gang" aveva detto il presidente Usa. Il tutto mentre l'ammiraglio Brad Cooper, responsabile di quel Comando Centrale del Pentagono che ha appena inviato 200 soldati in Israele per collaborare al piano, chiedeva ad Hamas di "sospendere immediatamente violenze e sparatorie contro i civili innocenti di Gaza". Parole a cui Trump si è allineato con due giorni di ritardo. "Ci penso io - ha spiegato ieri alla Cnn - a un mio cenno Israele ritornerà in quelle piazze. E saranno botte dure". Parole che, a ora, non cambiano la situazione d'una Gaza dove Hamas continua a imporre un'ordine armato. Del resto non è neanche chiaro chi debba procedere al suo disarmo. In teoria la forza di pace transnazionale chiamata a garantire l'ordine nella Striscia. Ma chi la guiderà? Chi la vi parteciperà? Il ministro di Stato del Qatar, Mohammed bin Abdulaziz Al-Khulaifi, intervenendo ai Dialoghi Mediterranei a Napoli ha attribuito un ruolo chiave alla "Forza internazionale di stabilizzazione (Isf)" ma non ha fornito dettagli sul suo dispiegamento. Per ora l'unica candidata ansiosa di prendervi parte è la Turchia del presidente Recep Tayyp Erdogan. "Le forze armate turche sono pronte a prendere parte alla task force multinazionale che sarà istituita a Gaza" ha annunciato il ministro della Difesa di Ankara Yasar Guler. Peccato che la presenza militare di una Turchia schieratasi più volte con Hamas sia la meno gradita ad Israele. Anche perché il governo Netanyahu, che già mal sopporta l'appoggio di Erdogan alle nuove autorità siriane, si ritroverebbe a gestire una presenza militare ostile lungo due frontiere.

In tutto ciò anche l'autorità transitoria chiamata a governare la Striscia resta un'entità indefinita. I nomi dei 15 tecnocrati palestinesi chiamati a farne parte restano un segreto ben custodito. Ma è singolare che tra le parti chiamate ad approvare quei nomi vi sia Hamas ovvero un organizzazione a cui tutti si sostengono di non voler lasciare alcun ruolo nel governo della Striscia. E assai singolare è anche la determinazione con cui la Casa Bianca Usa giustifica la lentezza di Hamas nella restituzione dei corpi degli ostaggi deceduti. Ma in fondo c'è poco da stupirsi.

L'amministrazione Trump, ideatrice mesi fa di un piano Riviera basato sulla deportazione degli abitanti di Gaza, è la prima a sostenere - oggi - che i palestinesi non debbano abbandonare la Striscia durante la ricostruzione.

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