Vivrà la Pasqua nella solitudine, nella preghiera, nella sofferenza per quanti lottano contro il coronavirus. Ma con una speranza: questo tempo trasmette un risveglio nella solidarietà.
Padre Enzo Bianchi è fondatore della Comunità di Bose e con il Giornale riflette su questo tempo buio per l'umanità. «Questo è un tempo di fatica e di sofferenza per tutti - dice - non solo perché siamo chiamati ad assumere con responsabilità delle restrizioni nella nostra vita ma perché effettivamente siamo colpiti da questo nemico invisibile che porta malattia e morte, soprattutto qui nel Nord. Anche io conosco amici che se ne sono andati e altri che stanno combattendo negli ospedali. È una situazione di fatica e di dolore per tutti. E poi certamente siamo consapevoli che tutto questo si riflette all'interno del quotidiano delle nostre vite: un piccolo spazio, per molti, dove vivere; il tempo diventa un tempo lungo, bisogna saperlo abitare. Non si può semplicemente pensare di doverlo ammazzare o illudersi di non sfruttare anche questo momento per fare qualcosa che sia vitale, e non qualcosa che ci porti alla tristezza o alla noia».
Come vive questo momento?
«Avendo 77 anni e qualche problemino di salute, tutto questo mi fa paura. Sono riuscito a troncare il mio peregrinare qua e là, vivo in comunità, siamo isolati, siamo senza ospitalità. Noi monaci siamo abituati alla cella, allo spazio piccolo, al silenzio, alla solitudine. Non è questo che ci turba, ci fa soffrire una certa impotenza di non poter fare nulla per tanti nostri fratelli e sorelle che invece soffrono. Certamente, possiamo pregare, ma ci sembra che non basti».
La Pasqua è per il cristiano momento forte della fede. Come vivere questo tempo senza recarsi a messa?
«Non poter partecipare all'Eucarestia è una grossa perdita, certamente, perché l'Eucarestia è davvero essenziale alla nostra fede. Ma accettiamo questa condizione che è imposta dalla situazione di emergenza. Vorremmo, all'interno delle nostre famiglie e delle nostre convivenze, avere quella capacità di assiduità alla Parola di Dio, di poterla pregare, ascoltare. Anche in mancanza di Eucarestia possiamo vivere pienamente la fede e sentire la comunione con tutti coloro che celebrano la Pasqua».
Come vivrà la sua Pasqua?
«Noi come monaci siamo una sessantina, ci raduniamo in Chiesa, abbiamo messo delle distanze. Certo gli spazi della giornata sono poi confinati nella cella. Abbiamo tante ore davanti a noi, in piena solitudine, in cui preghiamo, facciamo i lavori possibili. Ci manca certamente l'accoglienza e l'ascolto degli ospiti».
È giusto tenere le chiese chiuse o andrebbero aperte almeno a Pasqua come chiede qualche politico?
«Dobbiamo fare obbedienza a quelle che sono le direttive che ci sono state date: la salute prima di tutto. Se le autorità pensano che non sia possibile l'assembramento, non dobbiamo farlo. Ma devo anche dire che io non sono entusiasta delle messe trasmesse in streaming per le quali il rischio è che i cristiani si abituino ad avere un contatto più nella devozione che non nella realtà del sacramento dell'Eucarestia e senza la comunità cristiana. Preferirei che questi cristiani, anche se so che non sono stati tanto abituati adeguatamente, fossero capaci davvero di mangiare la Parola di Dio, perché la tradizione cattolica ci dice che la Parola di Dio contenuta nella Bibbia è corpo del Signore come l'Eucarestia».
Cosa ci insegna questo tempo?
«Tutte le catastrofi e tutte le crisi ce lo dicono: è vero che qualcuno continuerà nel suo egoismo, ma per la maggior parte è un interrogativo e un risveglio verso la solidarietà e la carità fraterna. Sovente viene fuori del buono dove non aspettavamo di trovarlo. Credo che dopo questo periodo avremo imparato ancora di più di essere mancanti verso gli altri, di aver bisogno degli altri».
Cosa pensa dei gesti del Papa di questo
periodo?«Mostra ancora una volta di essere un grande pastore del gregge. È veramente una grande consolazione, un uomo che è così solidale con la sorte della gente, con la gente qualunque, con la gente colpita dal male»
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