Hong Kong, triste finale tra elezioni rinviate e la minaccia militare

Con il Pil in crescita del 6%, la Cina lancia l'offensiva su democrazia e indipendenza

Hong Kong, triste finale tra elezioni rinviate e la minaccia militare

Le spese militari aumenteranno del 6.8% rispetto al 6.6% dell'anno scorso, con un budget che dovrebbe arrivare quest'anno a quota 210 miliardi di dollari, il secondo più ricco al mondo dopo gli Stati Uniti. La crescita del Pil per il 2021 è prudente, stimata a oltre il 6% (gli analisti prevedevano l'8%, l'anno scorso è stata il 2.3% ma quella degli Usa quest'anno è al 3.7%), con un impegno a mantenere il tasso di disoccupazione sotto il 5,5% e a creare 11 milioni di nuovi posti di lavoro nelle aree urbane. Nel frattempo Hong Kong e Taiwan sono avvertite: Pechino non tollererà la loro «collusione» con forze esterne, né tentativi indipendentisti.

Uscita dall'incubo coronavirus prima di qualsiasi altro Paese, la Cina apre i lavori del Congresso nazionale del popolo pensando al futuro con un piano economico e politico annuale dettagliato e la bozza di un nuovo piano quinquennale per il periodo 2021-2025 che punta al sorpasso degli Stati Uniti, all'autosufficienza tecnologica e al rilancio dei capisaldi della Repubblica popolare. Niente Dio, Patria, e al posto della famiglia il Partito Comunista. Un motto che Pechino intende estendere anche a Hong Kong, dove alzerà di un altro mattone il muro della dittatura, con una riforma elettorale che consentirà solo ai «patrioti» di candidarsi, cioè a chi giura fedeltà alla madrepatria e al partito. Lo scopo è annientare le spinte democratiche nella metropoli finanziaria.

È stato il primo ministro Li Keqiang a illustrare gli obiettivi del Dragone davanti all'uomo più potente dai tempi di Mao, il presidente Xi Jinping, e alla presenza dei tremila delegati che compongono l'Assemblea, la più alta istituzione statale e l'unica camera legislativa della Repubblica Popolare Cinese, che di fatto si limita a ratificare le decisioni già prese dal partito. Un progetto in linea con gli sviluppi economici post-Covid e i principi base del regime, pronto a usare anche la sua forza militare per soffocare qualsiasi dissenso. Il messaggio è forte e chiaro ed è destinato ad accrescere le tensioni con gli Stati Uniti guidati da Joe Biden. Di economia, Hong Kong e Taiwan i leader dei due colossi mondiali avevano parlato proprio durante la loro prima telefonata dall'insediamento del nuovo capo della Casa Bianca, con Biden che aveva manifestato le sue preoccupazioni per «i comportamenti economici sleali e coercitivi» della Cina, per gli abusi contro i diritti umani a Hong Kong e nello Xinjiang, per l'espansionismo strategico che minaccia Taiwan. La risposta, indiretta, ma per nulla equivoca, è arrivata ieri. Nel piano annuale del regime comunista è finito anche l'anelito indipendentista dell'isola. Pur volendo promuovere la «crescita pacifica delle relazioni», la Cina «scoraggerà risolutamente» qualsiasi attività volta «alla ricerca dell'indipendenza» con Taiwan, nonostante la separazione avvenuta nel '49 dopo una guerra civile. Il fine ultimo è quella «riunificazione» che Pechino è pronta a strappare anche con la forza.

Quanto a Hong Kong, l'annuncio della riforma elettorale che ammetterà solo «patrioti» alle elezioni per il Consiglio legislativo (il Parlamento locale), è di fatto il de profundis al principio «una Cina, due sistemi», con cui 24 anni fa il Regno Unito trasferì la sovranità di Hong Kong a Pechino, dietro la promessa che venissero garantiti agli abitanti della metropoli più diritti e libertà e venisse mantenuto un sistema economico capitalista, almeno fino al 2047. A distanza di 24 anni da quel patto, il sistema politico di Hong Kong assomiglierà sempre di più a quello della Cina continentale. Un organo non eletto fedele al regime avrà il compito di selezionare i candidati. Tutto ciò mentre gli oppositori restano in carcere, dal giovane leader pro-democrazia Joshua Wong al magnate dei media Jimmy Lai, mentre l'ex accademico Benny Tai, fondatore del movimento pro-democrazia Occupy Central, è tra i 47 esponenti accusati di violazioni alla legge sulla sicurezza nazionale sotto processo in questi giorni.

Come se non bastasse, la riforma elettorale - il cui testo sarà delineato nelle prossime ore - potrebbe far slittare di un altro anno al 2022 le elezioni, già posticipate dal settembre 2020 al 2021, con il pretesto dell'emergenza coronavirus. Siamo al ritorno ai fondamentali della Repubblica popolare: una Cina, un sistema, quello basato sul controllo assoluto del Partito comunista.

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