Tra gli effetti collaterali della guerra in Ucraina, c'è l'ennesima giravolta del mondo grillino che, non pago di essersi contraddetto sul fronte interno su quasi ogni posizione, non si risparmia in politica estera con un cambio di posizionamento tanto repentino quanto disordinato e scomposto. Una necessità di ricollocarsi dovuta sia al conflitto in corso sia all'appartenenza a un governo come quello Draghi con una chiara connotazione atlantista. Sono finiti i tempi del Conte I in cui si guardava alla Cina (e alla Russia) come modelli, al punto che lo stesso ex premier in un'intervista ha sottolineato la necessità di un «recovery di guerra» sottolineando che gli accordi con la Cina «non hanno mai messo in dubbio la fedeltà italiana al campo europeo e atlantista».
L'invasione dell'Ucraina è stata un brusco risveglio per chi negli ultimi ha invocato tagli alla spesa militare italiana e, solo a guerra in corso, ci si è resi conto che l'Italia, terza nazione dell'Unione europea, membro del G7 e ottava economia al mondo, anche per questioni di difesa, non può fare a meno di un esercito forte.
Eppure non sono passati nemmeno due anni da quando, nell'aprile 2020, il capogruppo in commissione Esteri del Movimento Cinque Stelle Gianluca Ferrara riprendeva una battaglia storica dei grillini per tagliare gli acquisti degli F35 da parte dell'Italia proponendo di «valutare l'opportunità di rinegoziare e ridimensionare questo programma».
Già due anni prima, durante il mandato del ministro della Difesa Elisabetta Trenta, erano stati previsti tagli al bilancio della difesa per l'anno successivo come annunciato da un comunicato stampa del Consiglio dei Ministri del 15 ottobre 2018: «Si prevede una riduzione delle spese militari pari ai fondi necessari per la riforma dei Centri per l'impiego».
Tagli che andavano in una direzione opposta alla necessità di rafforzare la Nato di cui l'Italia è partner strategico in Europa. Già, la stessa Nato presa di mira dal Movimento Cinque Stelle per anni al punto che l'ex ministro della Salute Giulia Grillo ieri è stata costretta a un mea culpa affermando: «Nel M5s mettevamo in discussione la Nato. Governare ci ha fatto cambiare idea». Più che un riposizionamento sembra l'ammissione di una totale impreparazione sui temi di politica estera ma tant'è.
Il caso più eclatante è però quello di Manlio Di Stefano, un tempo implacabile tribuno anti-sistema e oggi sottosegretario agli Esteri che nel 2016 scriveva: «la Nato ha aumentato la sua presenza di collaboratori militari a Kiev, dopo il colpo di stato del febbraio del 2014. La Nato, quindi, si prepara alla guerra contro la Russia per forzare l'ingresso dell'Ucraina nell'Organizzazione e per gli interessi egemonici mondiali degli Stati Uniti».
Aggiungendo che l'Italia dovrebbe mettere in discussione «la presenza di tutte le decine e decine di basi militari Nato e Usa presenti sul nostro territorio» e concludendo: «Presto, molto presto, al governo del paese ci sarà il Movimento Cinque Stelle e nessuno, specialmente il Segretario della Nato, non potrà più venire a Roma a trattarci come sudditi».
Gli aneddoti sulle sue posizioni in politica estera, dai viaggi in Russia fino alle accuse dell'attuale segretario generale della Nato Jens Stoltenberg di voler provocare una «guerra nucleare» contro la Russia sono molteplici ma ci limiteremo a registrare il suo recente appoggio alle sanzioni verso la Russia.
Nonostante il riposizionamento di tutti i principali esponenti del Movimento, c'è chi rimane fedele alle idee della prima ora come Alessandro Di Battista che, pur non facendone più ufficialmente parte, mantiene la linea dura e pura
sintetizzata in un post di cinque giorni fa con un incipit degno di un romanzo: «la Russia non sta invadendo l'Ucraina». Neanche ventiquattro ore dopo l'esercito russo entrava in Ucraina. Un bel tacer non fu mai scritto.
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