90 anni di Elisabetta, sovrana senza tempo al comando del regno e della Storia

Ha vissuto a cavallo fra due secoli e al centro del museo delle cere che è casa Windsor. Sempre uguale a se stessa anche se ha dialogato con 8 Papi e mille capi di governo

90 anni di Elisabetta, sovrana senza tempo al comando del regno e della Storia

Dio salvi l'Inghilterra. Elisabetta II è salva, viva, regina vera e donna verissima da novant'anni. Ha vissuto la guerra e lavorato per la pace, le bombe hanno devastato Londra, le morti hanno lacerato la famiglia reale, la cronaca ha ferito la storia, anni orribili sull'isola che è un continente, nel regno che sembra la casa di tutti. Elisabetta II è rimasta uguale nel tempo che fuggiva velocissimo e feroce, attraversando il secolo, approdando al millennium; era una donna vecchia da giovane e oggi una giovane vecchia che osserva il mondo girarle attorno, come in un circarama con la colonna sonora dei Beatles e degli Stones, le acrobazie di James Bond e le lotte dei minatori, il terrorismo irlandese, quello contemporaneo, nato e infiltrato nella città non più soltanto swinging e che continua a oscillare su se stessa, osserva il continente ma resta al di qua del canale, aggrappata alla sterlina, alla guida a destra, al Big Ben.

Elisabetta è l'Inghilterra ma non è la regina soltanto degli inglesi e di altri quindici stati sovrani, viaggia con un tempo diverso dal resto del mondo ma sta al centro del mondo, con la sua universale lingua. È una figura vera al centro del museo delle cere che è casa Windsor dove gli altri personaggi e interpreti sembrano statuine di un presepe esclusivo. Ha guidato camion e, senza indossare il casco ma avvolto il capo con il foulard di seta, monta ancora a cavallo, oggi preferisce Melody e Cartonlima Emma, trattasi di Pony, la prudenza regna sovrana; passa dalla carrozza alle Rolls Royce e Bentley alla quali non è applicata la targa, così come Elisabetta non ha un passaporto essendo lei medesima, con la sua effigie, a concederlo ai sudditi. Favole che appartengono a una terra strana e bellissima sopra e dentro la quale Elisabetta sembra una donna sola al comando. Di un regno e della storia. Nel Ventisei che cosa poteva essere l'Inghilterra? Fumo di carbone e nebbia, sciopero generale, reduce dalla grande guerra il Paese cercava di capire e di capirsi. Inutile cercare la sua dimora antica, in Mayfair, al civico 17 di Bruton street troverete invece l'Hakkasan, ristorante stellato che fa cucina cantonese. In verità è stata apposta una targa in marmo scuro a ricordare l'evento e il sito natale di Sua Maestà la Regina, una volta letto il testo si procede con il menù cinese.

La nascita di Elisabetta fu agevolata da taglio cesareo, alle tre meno venti di notte, anche i sovrani hanno le loro doglie. Infanzia regale e reale, il cielo nerastro dei V2 nazisti, lei a studiare francese, crescendo in una famiglia silenziosa di persona e festosa di cani e animali vari, Londra e la campagna, castelli e dimore antiche, Windsorland. Non è cambiato molto da allora. Novant'anni dopo, scomparse le nebbie, abbattuti i mattoni lerci di carbone, l'Inghilterra continua a capire se vale la pena di stare attaccata al Continente o uscirne definitivamente. Elisabetta non ne parla, ufficialmente. Nella sua lunga esistenza ha dialogato con otto papi, mille capi di governo e di stato, ha visto passare, nel suo studio verde con tappeto cinese, davanti al trono o alla scrivania Chippendale, ogni tipo di persona e di personaggio. Tra questi anche tale Michael Fage che alle 7 e un quarto del nove di luglio dell'Ottantadue non si presentò al cerimoniale ma entrò direttamente nella stanza da letto di Sua Maestà, chiedendo aiuto, Michael era un imbianchino disoccupato ma era riuscito a saltare ogni controllo di sicurezza, Elisabetta provò a pigiare pulsanti vari per chiamare gli addetti, non trovando risposta si alzò dal letto, andò a prendere una sigaretta e la offrì all'imbianchino mentre, con grave ritardo, si presentarono i primi poliziotti.

Non era stata diversa la reazione dinanzi ai sei colpi di pistola, a salve, esplosi da Marcus Sarjeant mentre la regina, che aveva abbandonato da un quarto d'ora la dimora di Buckingham, transitava a cavallo lungo il Mall. Gli spari imbizzarrirono Burmese, il quadrupede di diciannove anni, Elisabetta non perse il controllo, ridusse alla calma il cavallo mentre cinque luogotenenti afferrarono al corpo mister Sarjeant che urlava «Volevo essere famoso, volevo essere qualcuno». Non si sa che fine abbiano fatto né il famoso, né l'imbianchino, nemmeno Brunese ma si sa che Elisabetta ha proseguito la sua esistenza, circondata da Filippo, che sembra una spalla da commedia grottesca e dal resto della famiglia, tra divorzi, concubini, adulteri, parenti serpenti e abbigliamenti vari. Esiste una letteratura tra il comico e il leggendario che ha accompagnato la storia della regina. Se soltanto penso alla corona che le viene posta sul capo, scintillante di 273 perle, 18 zaffiri, 11 smeraldi, 5 rubini, 2868 diamanti, roba da riequilibrare il debito pubblico, o ai cani corgis, improbabili di forma e di aspetto ma fedeli alla padrona più dei sudditi, questi ultimi costretti a versare 80 centesimi all'anno per sostenere la casa reale: o ancora alle Frezs, sarebbero le uova della Nuova Zelanda, che sono obbligatorie per la colazione del mattino o le noccioline che, stando alle intercettazioni dello scandalo di News of The World, vennero trafugate dalle ciotole di argento durante perquisizioni e sopralluoghi di Scotland Yard; e, ancora, alla fetta di torta nuziale (altezza, metri tre, tagliata dalla spada di Filippo) e conservata per sessantotto anni, come una reliquia, quindi venduta all'asta per euro 680; o alla lingerie di Rigby & Peller, fornitrice ufficiale della regina, June Kenton, la proprietaria della ditta, andò a prendere le misure della sovrana e non dormì per una settimana: «La gente vede la regina vestita, io no!», oggi Rigby & Piller cura l'intimo di Lady Gaga. GanGan, invece, è come il principino George, primogenito di Kate e William, chiama la bisnonna Elisabetta, che si diverte a osservare il circo dal quale resta sempre staccata, almeno di un passo. Era la mattina del sei di febbraio del Cinquantadue, quando le comunicarono la morte del padre Giorgio VI. Lillibeth, in vacanza in Kenya, stava seduta sul ramo di un albero dell'Aberdare National Park, al Treetops Hotel.

Jim Corbett, sua guardia del corpo, poi scrittore, descrisse il momento con queste parole: «Per la prima volta nella storia del mondo, una ragazza è salita su un albero come principessa e ne è ridiscesa come regina». Una favola, una vita.

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