Molti nemici, poca mira. È dal giorno -1 dell'epidemia che la Lombardia è nel mirino di un attacco senza quartiere. Ma anche senza risultati: una dopo l'altra le accuse si rivelano gonfiate, infondate, utili solo ad aizzare i cani di una folla ideologizzata che accorre al richiamo della foresta. Non che Palazzo Lombardia sia immune da errori: data la forza con cui il virus si è manifestato nell'area e la sua scarsa conoscenza sarebbe straordinario se le scelte si rivelassero tutte perfette. Ma un esame oggettivo non interessa a nessuno. Il messaggio veicolato è tanto chiaro quanto illogico: se la Lombardia ha tanti morti è colpa della Regione, se nelle altre regioni ce ne sono di meno è merito del governo. Che, oltretutto, invoca per se stesso l'immunità.
Il caso dei camici regalati alla Regione è solo l'ultimo caso pompato e già sgonfio. L'assalto parte quando ancora il premier Conte dichiarava che «l'epidemia è sotto controllo», Sala e Zingaretti organizzavano aperitivi al grido di «Milano non si ferma» e i governatori delle Regioni di centrodestra chiedevano la quarantena per chi tornava dalla Cina, subito tacciati di razzismo. Pochi giorni dopo, il governo chiude tra gli applausi ogni collegamento aereo con Pechino.
Subito dopo, Fontana finisce nel mirino per aver indossato simbolicamente la mascherina in diretta. Terrorismo mediatico, si urla. Poi sarà la rossa Toscana la prima a rendere obbligatorie le mascherine. Dopo una breve tregua per lutto, l'assalto riprende il 4 aprile con l'articolo di Gad Lerner che accusa la Regione di strage volontaria al Pio Albergo Trivulzio. Pochi giorni dopo la Procura di Milano apre un'inchiesta sui morti nelle Rsa e parte il circo manettaro. Che però si sgonfia in fretta quando si scopre che in tutta Europa metà dei morti si sono verificati nelle Rsa e che non c'è prova che i trasferimenti di 28 malati nelle Rsa lombarde abbia causato i contagi. E, infine, che le inchieste sulle Rsa sono 40 in tutta Italia, Regioni guidate dalla sinistra incluse. La notizia allora lascia il passo all'accusa alla Lombardia di aver impedito la zona rossa nella Bergamasca. Peccato che sia lo stesso pm pochi giorni dopo a dichiarare che la decisione sulla zona rossa l'ha presa il governo.
C'è poi il caso dell'ospedale Covid realizzato in pochi giorni nella Fiera di Milano con donazioni private, incluse quelle dei lettori del Giornale. La campagna procede sulla base di un assunto ridicolo: il costo di una struttura costruita come riserva di terapie intensive che per fortuna non si sono riempite di malati, viene calcolato sul rapporto tra milioni spesi e numero di ricoverati. Salta poi fuori che ci sono strutture analoghe costruite nelle Marche ma anche a Berlino e New York. Polemica chiusa.
Infine ieri emerge la valutazione dei sistemi sanitari regionali fatta dal ministero della Salute in base ai Lea, Livelli essenziali di assistenza: promosse a pieni voti Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia, cioè le aree più colpite. Chiaro, il virus imporrà di rivedere alcune linee guida. Ma per le conoscenze precedenti all'epidemia, il sistema lombardo non è stato affatto «distrutto dalle privatizzazioni» come vuole la vulgata ideologica.
Il risultato finale della campagna è uno solo: aver scatenato un irrazionale sentimento anti lombardo, tanto da far chiedere a molti una sorta di apartheid per la regione più produttiva d'Italia, contro ogni evidenza scientifica. Andrebbe chiamato per quello che è: sciacallaggio. Alla faccia degli appelli all'unità nazionale.
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