Guerra in Ucraina

Tra i cadaveri di Rubezhnoye "In 700 uccisi dagli ucraini". I russi: Lugansk quasi preso

I volontari al servizio della repubblica autoproclamata raccolgono i corpi dei filorussi "È questo l’effetto dei cannoni e dei missili lanciati da Kiev"

Tra i cadaveri di Rubezhnoye "In 700 uccisi dagli ucraini". I russi: Lugansk quasi preso

Rubezhnoye (Lugansk). «Gruz 200». La parola in caratteri cirillici e il numero sono stampati a caratteri cubitali sui fogli bianchi. Ilias, volontario di un'organizzazione umanitaria al servizio del ministero degli esteri dell'autoproclamata repubblica di Lugansk li incolla uno a uno ai finestrini del decrepito furgone eredità dell'era sovietica. Poi mentre lo guardiamo stupiti ci rivela l'arcano. «Significa Carico 200, e 200 nel codice militare russo indica i corpi dei caduti. A Rubezhnoye lo facciamo ogni giorno. All'andata carichiamo il furgone di aiuti umanitari, al ritorno portiamo i morti da riconoscere o consegnare alle famiglie».

«Senti puzza? - chiede Ilias - Per forza, li mettiamo lì...», spiega con grottesca naturalezza mostrando il carrellino al traino da cui si alzano zaffate di morte e putrefazione. Poi si va. A guidare la macabra spedizione su un fuoristrada bianco c'è Anna Soroka, la vice ministra degli esteri diventata negli ultimi otto anni una celebrità di questa repubblica. Reduce dalla polizia dove ha raggiunto il grado di colonnello passando poi in magistratura si è guadagnata i gradi di ministro guidando la ricerca e la riesumazione di tutti i filo-russi catturati, rapiti e uccisi dai gruppi paramilitari ucraini. Oggi la sua associazione chiamata «Non dimenticare e non perdonare» è un punto di riferimento per chi vuole indagare sugli orrori della guerra civile ucraina attribuiti al governo di Kiev e ai gruppi paramilitari. «Ora spiega dobbiamo occuparci dei morti di Rubezhnoye, la città è rimasta per due mesi sotto il fuoco dell'artiglieria ucraina. Per ora si parla di 700 morti, ma sono sicuramente molti di più, il numero non comprende i cadaveri rimasti nei palazzi bombardati e quelli ancora sepolti in tombe improvvisate o in fosse comuni».

Per comprendere cosa intenda Anna Soroka bisogna attraversare un centinaio di di chilometri di campagne deserte. Qui la guerra non sembra aver fatto molti danni. In compenso ha completamente desertificato la zona trasformando le immense coltivazioni di grano in radure abbandonate e disabitate. Ma il peggio arriva quando si entra Rubezhhnoye o - come la chiamano gli ucraini - Rubizne. Qui l'annuncio di Mosca sul «Lugansk quasi liberato» acquisisce un senso concreto. L'uscita del presidente ucraino Volodymyr Zelensky pronto a definire «un inferno l'offensiva russa nel Donbass», assume invece il significato opposto. Il lato della città più colpito dall'artiglieria, dove gli scheletri dei palazzoni anneriti e scarnificati somigliano a un sipario post-nucleare, si affacciano sul lato sud e sud-est dove le linee ucraine di Sievjerodoneck continuano a sputar cannonate e missili. «Queste sono tutte vittime dell'artiglieria ucraina guarda come abbiamo dovuto seppellirle», racconta Vasily Petrenko un muratore 41enne che non ha mai lasciato la zona e collabora alla distribuzione degli aiuti umanitari in arrivo da Lugansk. «Qui ci abbiamo messo due fratelli e una signora di cui era rimasto ben poco - spiega mentre ci guida verso tre croci e tre tumuli di terra sul lato sud di una palazzina sventrata dalle cannonata -. Li abbiamo sotterrati qui perché i bombardamenti non finivano mai e non c'era il tempo di portarli all'obitorio. Se non li coprivamo con un po di terra finivano mangiati dai cani».

Ilias e l'inviato della procura di Lugansk segnano il posto e i nomi dei morti poi il furgone di «Gruz 200» punta il suo obbiettivo, due tombe simili a quelle appena visitate, scavate a lato di un vialone non troppo distante. Stando ai nomi segnati sulle croci appartengono a Krekin Vitaly e Dimitri Liemish un ragazzo di 21 anni e ad un uomo di 48 dilaniati dalle schegge di un colpo di mortaio esploso sul marciapiede dove camminavano. «I loro nomi e la loro posizione - spiega Elias - ci sono stati segnalati dai parenti scappati a Lugansk, poi noi abbiamo informato la procura che ha mandato un funzionario per seguire la procedura e registrare tutti gli atti», dice ancora Elias mentre, indossati guanti, maschera antigas e tuta protettiva, imbraccia una pala e si mette a spalare. Tre ore dopo i poveri resti chiusi in sacchi di nylon nero sono sul traino di «Gruz 200». Anna Soroka li guarda e scuote la testa.

«Zelensky prima di parlare di orrore dovrebbe render conto di quanto fanno i suoi cannoni e i suoi missili qui nel Donbass».

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