Politica

I cigni neri di Valentino In passerella Naomi e le bellezze «plurali»

Lo stilista Piccioli s'ispira all'eleganza degli abiti di James per le diafane signore inglesi

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Parigi «Caravaggio partiva sempre dal nero per tirar fuori i suoi incredibili colori» dice Pierpaolo Piccioli sistemando una sublime giacca asimmetrica di cashmere in un pallido ed elusivo punto di lavanda sull'equivalente umano di una statua di Giacometti però in ebano. Si chiama Akima, viene dal Sudan del sud ed è una delle 40 modelle di colore che il geniale direttore creativo di Valentino ha fatto sfilare ieri sera a Parigi con l'indimenticabile collezione couture della prossima primavera/estate. Tra queste ragazze trovate con un complesso casting che ha richiesto cinque mesi di lavoro, non mancano ovviamente le top come Lia Kebede in un fulminante abito di faille rosa shoking, Alek Wek in una sinfonia di verdi dal cedro al menta e Aduta Kech con gonna e cappa cosparsa di rose nel più fluorescente punto di rosa. Poi c'è Naomi che esce per ultima ed è l'unica in nero perché la sua presenza per una volta non serve tanto ad attirare i flash dei fotografi quanto a ribadire un concetto sacrosanto in un mondo civile: la bellezza è plurale. «Per me l'alta moda è il territorio del sogno spiega PPP la massima espressione di unicità. Eppure è sempre stata come l'arte: appannaggio delle donne bianche. Se nei quadri le nere erano solo Madonne, prostitute o schiave, nelle immagini della couture non erano nemmeno contemplate. Penso alla celebre foto scattata da Cecil Beaton ai modelli di Charles James, uno dei più grandi couturier della storia che ha lavorato solo per l'élite statunitense, le donne bianche anglosassoni e protestanti che poi sarebbero state descritte da Truman Capote come i cigni della Quinta Strada. Ecco mi sono chiesto come sarebbero fiori, volant, pizzi e frange sulle nere che hanno corpi e colori diversi». Detto fatto dopo una sfilata da cardiopalma per la bellezza degli abiti arriva la riedizione contemporanea di quella foto. Pierpaolo dice di non aver voluto lanciare un messaggio politico ma puramente estetico, eppure non si è mai vista un'immagine tanto potente nel rarefatto e a volte irritante mondo delle sfilate. Le nere sono la maggioranza ma non mancano bianche d'inaudita bellezza come Maria Carla Boscono con i capelli insolitamente rossi e le ciglia ricoperte di piume nello stesso verde iridescente del guscio di uno scarabeo. Indossano vestiti esclusivi come poche altre cose al mondo, ma parlano d'inclusività, pluralismo, accettazione. Strepitoso anche il messaggio lanciato da John Galliano con la più bella delle sue collezioni da quando, tre anni fa, è diventato il direttore creativo di Maison Margiela. Il grandioso designer di Gibilterra stavolta si occupa della decadenza generata dall'eccesso e dall'artificio del mondo digitale. In effetti stiamo rischiando grosso perché non guardiamo più fotografiamo, non viviamo più ma raccontiamo una vita più o meno perfetta sui social media. Da qui l'idea di un grandioso murales coloratissimo in cui si riconosce solo un barboncino azzurro, talmente irreale da sembrare vero. Tutto questo diventa stampa, ricamo, rilievo in peluche, inserto sui sublimi capi della prima sfilata co-ed della linea Artisanal. Anche Viktor & Rolf lanciano nel loro piccolo un messaggio con i loro modelli in tulle (ne hanno usati ben sette chilometri) su cui compaiono i messaggi scemi che ci si manda via social: «Sto arrivando«, «sono in ritardo», «non vengo». Anche qui il messaggio arriva forte e chiaro: parlatevi, per la miseria. Gran bel lavoro sul mare da Jean Paul Gaultier che sembra aver ritrovato la sua abituale verve creativa. La sfilata comincia da un'inedita versione della classica maglia a righe dei marinai bretoni (la mitica «mariniere» di Gaultier) per poi trasformarsi in meduse, sirene, regine delle onde, mogli di Nettuno. Una gioia per gli occhi. Sulla sfilata di Givenchy si sente dire il meglio e il peggio. Si parte da «a cosa diavolo serve uno zaino sulle spalle di una donna vestita da sera» per arrivare a «ma hai visto in quanti modi riesce a trasformare uno smoking». Ai posteri l'ardua sentenza. Certo Clare Waight Keller sta cominciando a capire i segreti della couture, ma manca un po' di fonti d'ispirazione: il bianco e il nero, lo chich e lo shock, sono un po' poco se prima di te ci sono stati due titani dello stile come McQueen e Riccardo Tisci.

Per non parlare di Hubert de Givenchy.

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