Un imprenditore cinese che accusa un concorrente occidentale di copiare da lui sembra una barzelletta, come un tedesco che non beve birra o un portoghese che paga il biglietto. Ma non è uno scherzo la citazione in giudizio che i cantieri Riva di Sarnico (acquisiti nel 2012 dalla multinazionale cinese Shandong Heavy Industry Group) hanno notificato ai lontani cugini Riva di Laglio. Il nome è lo stesso, perché le due attività nacquero nella medesima famiglia; il settore di attività quasi: i Riva di Laglio fabbricano imbarcazioni artigianali mentre quelli di Sarnico sfornano yacht e motoscafi di lusso come i mitici Aquarama e Aquariva. Sono invece imparagonabili le dimensioni aziendali. I cantieri comaschi hanno tre dipendenti con un giro d'affari inferiore ai 200mila euro annui; viceversa l'azienda bergamasca fattura circa 600 milioni con 2.500 persone.
Ma che fastidio dà il piccolo Davide al gigante Golia? Semplicemente quello di portare lo stesso nome: Riva. Un marchio leggendario, simbolo dell'abilità dei maestri d'ascia italiani. Quelli dei Riva di Sarnico sono i motoscafi dei vip, dei reali, dei capitani d'industria, delle stelle del cinema: lussuosi, dal design inimitabile e dai materiali di qualità assoluta. Quelle dei Riva di Laglio sono le barche dei piccoli appassionati, di chi ama il dettaglio e vuol scegliere tutto, dal legno alle finiture: un natante sartoriale.
I due rami dei Riva non si sono mai fatti la guerra in oltre 200 anni di storia. Il primo cantiere sorse a Laglio, sulla sponda occidentale del lago di Como, un paese ora più famoso per la villa di George Clooney che per aver dato i natali a un emblema del made in Italy . Era il 1771 quando Giovanni Riva aprì una bottega di costruzione, rimessaggio e riparazione di barche che passò di padre in figlio. Nel 1842 il nipote Pietro decise di tentare la fortuna a Sarnico, sul lago d'Iseo, mentre suo fratello Giovanni Battista continuò a fare il carpentiere nel luogo d'origine.
Una è rimasta un'attività di famiglia, di nicchia, fino all'attuale titolare Daniele Riva il cui cantiere sembra fermo all'Ottocento; l'altra divenne il marchio che dalla Dolce vita in poi è diventato famoso in tutto il mondo. Tra i due Riva, dunque, non esistono soltanto i vincoli del sangue e l'orgoglio di appartenere a una grande tradizione artigiana: il reciproco rispetto era dovuto anche al fatto che le aziende non si pestano i piedi. Da Laglio escono barche a remi, a vela o con piccoli motori fuoribordo (pochissime); da Sarnico prendono il largo le Ferrari dell'acqua: cabinati di lusso, panfili, battelli da motonautica. Sono diversi clienti, materiali, dimensioni e prezzi. Inimmaginabile una qualche concorrenza o confusione.
Il problema insorge quando la Riva di Sarnico passa di mano. L'azienda entra nell'orbita prima del Gruppo Ferretti e quindi di una multinazionale con sede a Jinan, che produce scavatrici e trattori ed è controllata dal governo di Pechino. E come molti colossi cinesi che vengono in Occidente a fare shopping di griffe prestigiose, come primo atto avviano una due diligence per capire le condizioni dell'azienda e magari fare piazza pulita sul mercato. Ed ecco Golia che deve eliminare Davide. La Riva di Sarnico (a capitale cinese) cita in giudizio il cantiere Riva di Laglio vietando l'uso del nome di famiglia (marchio, ditta, insegna) in quanto concorrenza sleale. Non basta: i cinesi chiedono perfino di distruggere e ritirare dal commercio la «merce presuntivamente contraffatta», cioè gli scafi lariani, con annesso risarcimento del danno.
È un mondo alla rovescia. In realtà il gruppo Shandong Heavy Industry ha comprato un'impresa in difficoltà: dei 374 milioni versati nel 2012 per acquisire il Gruppo Ferretti, 196 sono andati a coprire i debiti; l'anno scorso hanno rischiato di chiudere gli storici cantieri navali di Forlì. Il meccanismo è spiegato nella comparsa presentata dallo studio legale La Scala di Milano per conto di Daniele Riva: «Il grande capitale straniero, con strutture fiscali internazionali, compra le migliori aziende italiane e poi usa tutta la sua potenza di fuoco contro le micro-imprese locali che sopravvivono di produzioni di poche decine di migliaia di euro l'anno».
Secondo l'atto di citazione, Daniele Riva sarebbe apparso dal nulla nel 1994 - quando la sua attività ha assunto la forma di impresa individuale - per sfruttare l'omonimia con la leggenda della nautica da diporto.
Cambia la proprietà, cambia il management , e il ramo della famiglia Riva che per oltre due secoli è stato rispettato diventa una minaccia. il piccolo maestro d'ascia del lago di Como un pericoloso concorrente. Che si mette a copiare dai cinesi.
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