I clan contro gli inceneritori: l'immondizia è il nuovo oro

Il traffico illegale di rifiuti affianca quello della droga. Nel 2017 sono stati sequestrati 4,5 milioni di tonnellate

I clan contro gli inceneritori: l'immondizia è il nuovo oro

Un paese diventato una grande Terra dei Fuochi, una situazione ormai fuori controllo in cui capannoni, container, discariche a cielo aperto vengono date alle fiamme per mano della criminalità organizzata. È questa la realtà, dolorosa ma incontrovertibile, che fa da sfondo alle polemiche di questi giorni tra Lega e 5 stelle sulla politica governativa in tema di rifiuti. L'ostinazione grillina nell'opporsi alla creazione di nuovi impianti di incenerimento non tiene conto della movimentazione fuori controllo di milioni di tonnellate di immondizia che - in assenza di canali regolari di smaltimento - viene gestita nella illegalità e quasi sempre sotto il controllo dei clan malavitosi. Anche i roghi illegali, paradossalmente, sono forme di incenerimento: ma qui lo smaltimento avviene senza filtri né controlli, avvelenando l'aria, i polmoni, l'acqua, i terreni. E arricchendo le casse dei clan.

I roghi scoppiano in tutta Italia, non solo al sud. Undici, in Lombardia, solo dall'inizio di quest'anno: su di essi, secondo quanto risulta al Giornale, indaga la Direzione distrettuale antimafia, convinta che ad accumulare e a smaltire illegalmente i rifiuti siano uomini direttamente collegati ai clan della 'ndrangheta. Il traffico di rifiuti sta affiancandosi a quello di droga negli interessi mafiosi, perché rende molto ed è a rischio quasi zero. Così nelle discariche abusive delle cosche approdano giorno dopo giorno i camion carichi di rifiuti. Dentro c'è di tutto: plastica, scorie, rifiuti tossici, elettrodomestici.

I volumi sono mostruosi: nel corso del 2017, spiega l'ultimo rapporto di Legambiente, sono stati sequestrati in Italia 4,5 milioni di tonnellate di rifiuti gestiti fuori dai canali legali. Caricati su tir, calcola il rapporto, avrebbero riempito 181mila automezzi, una colonna ininterrotta da Trapani a Berlino. Vengono smaltiti in ogni dove: Lombardia, Piemonte, Veneto, ma la provenienza è soprattutto meridionale. Dalle regioni, cioè dove si accoppiano due assenze micidiali: quella di una raccolta differenziata degna di questo nome, e quella pressoché totale di impianti di incenerimento. La Lombardia, per fare un esempio, ha tredici inceneritori, e percentuali di raccolta differenziata che oscillano tra il 34 e il 61 per cento; la Campania ha un solo inceneritore, la Sicilia nessuno, la Puglia due: ma in queste stesse regioni la raccolta differenziata ha spesso percentuali ridicole, come il 3 per cento di Foggia o il 10 di Palermo. Il risultato è che si riversa sul sistema una quantità di rifiuti che l'apparato legale del sud non è in grado di smaltire. Una parte prende a caro prezzo le strade degli impianti ufficiali del nord Italia e soprattutto dei paesi esteri. Il resto finisce nei canali criminali, alimentando le tante terre dei fuochi della Penisola.

Di fatto, ogni battaglia contro gli inceneritori va ad aumentare il fatturato della criminalità organizzata. Sul controllo esercitato dai clan sul ciclo di smaltimento illegale non ci sono più dubbi. Non c'è solo il «caso Milano», con la regia malavitosa degli accumuli e degli incendi. A Palermo dieci giorni fa sono stati arrestati tre esponenti dei clan di Brancaccio proprio per avere investito i fondi della cosca nel traffico di rifiuti: la traduzione in pratica di quanto afferma da tempo Raffaele Cantone, il capo dell'Authority anticorruzione: «Quello dei rifiuti è il comparto maggiormente colpito da infiltrazioni della criminalità organizzata, come testimoniato anche dall'elevato numero di interdittive antimafia».

Ad utilizzare gli impianti illeciti di smaltimento sono persino le amministrazioni pubbliche: quando i carabinieri di Brescia iniziarono a scavare sull'incendio scoppiato in un capannone di Rezzato, scoprirono che l'azienda aveva accolto fuori da ogni controllo mille tonnellate di rifiuti provenienti dalla Campania. Il mittente della montagna di monnezza erano gli impianti di tritovagliatura dei rifiuti di Giugliano, gestiti dalla Sapna: una società pubblica, controllata al cento per cento dalla città metropolitana di Napoli.

Di fronte a questa emergenza ambientale e

criminale, i numeri degli arresti sono scarsi: 84 le persone denunciate nel 2018 per traffico di rifiuti. Pena prevista, da uno a sei anni. Non esattamente uno spauracchio, per chi governa il vero business del XXI secolo.

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