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I colossi hi tech sotto scacco. Una nemica all'Antitrust Usa

Biden sceglie Lina Khan da sempre ostile ai monopoli digitali. Anche Ue e Russia contro il loro strapotere

I colossi hi tech sotto scacco. Una nemica all'Antitrust Usa

Alla verde età di 32 anni, Lina Khan non può davvero lamentarsi della sua carriera. Nata in una famiglia di immigrati pakistani, non aveva ancora finito gli studi che era già seduta in cattedra come professore alla Columbia University. Ma anche questo, per quanto precoce, era solo una tappa: ieri si è saputo che Joe Biden l'ha scelta come componente della prossima Commissione anti-trust americana.

A lamentarsi della nomina (che avrà bisogno dell'approvazione del Senato) potrebbero essere solo i colossi dell'hi-tech. Perchè Lina Khan è considerata il loro nemico numero uno e perchè la notizia è arrivata in un periodo nero per i giganti del digitale: da Washington a Bruxelles, fino in Australia, sono sotto accusa praticamente ovunque. Sempre ieri ci si è messa pure la Russia che ha appena deciso di applicare in grande stile le norme approvate di recente sul cosiddetto Internet sovrano: dopo aver intimato a Twitter di cancellare una serie di account e dato che la società Usa si era ben guardata dall'eseguire l'ordine, l'Autorità di controllo moscovita ha rallentato in tutto il Paese il funzionamento del social network.

A fornire, almeno in Occidente, alcune tra le armi concettualmente più appuntite nella battaglia contro i cosiddetti «Gafam» (Google, Amazon, Facebook, Apple e Microsoft) è stata la già citata Khan, ai tempi in cui, da studente, scriveva per la Yale Law Review. In un articolo intitolato il «Paradosso anti-trust di Amazon» «riformulò», come ha scritto il New York Times, l'intero tema delle politiche anti-trust. I monopoli tradizionali, sostiene la giovane studiosa, si riconoscono perchè la loro azione provoca un aumento dei prezzi. Un moderno monopolista come Google non aumenta i prezzi a carico dell'utente (di fatto nemmeno ci sono) ma le sue azioni vanno monitorate perchè hanno comunque un impatto sui consumatori, non solo in quanto tali, ma anche come lavoratori, cittadini e membri di una comunità.

La corrente di pensiero, in America è detta «hipster antitrust», ha raccolto via via sempre più adesioni. E oggi i signori della Silicon Valley sono sotto scacco. Nel dicembre scorso la Commissione federale anti-monopoli e la bellezza di 40 Stati hanno accusato Facebook di aver soffocato la concorrenza comprando le società che potevano costituire un pericolo. La condanna potrebbe tradursi in uno spezzettamento dell'impero di Mark Zuckerberg, che comprende, oltre a Facebook, anche Instagram e Whatsapp. Due mesi prima, in ottobre, era stato il Ministero della Giustizia ad avviare un procedimento contro Google, accusato di proteggere illegalmente il monopolio pubblicitario legato al suo motore di ricerca. Anche Amazon e Apple sono sotto inchiesta e il partito democratico, ringalluzzito dalla recente vittoria elettorale, annuncia provvedimenti. Nel mirino ci sono strapotere di mercato, mancato rispetto per la privacy, disinformazione e fake news.

E mentre in Australia Google deve venire a patti con gli editori per la pubblicazione dei loro articoli, anche l'Unione Europea ha cambiato marcia: in dicembre ha annunciato i due provvedimenti più incisivi mai messi in cantiere per la regolamentazione dell'attività hi tech. Il primo, il Digital service Act, ha a che fare con i contenuti pubblicati online: le grandi piattaforme dovranno darsi da fare per rimuovere quelli considerati illegali, sottoporsi allo scrutinio di autorità indipendenti e collaborare con loro. Il secondo pacchetto di norme, invece, con il nome di Digital market act, si occuperà del regime anticoncorrenziale in cui operano alcune società del mondo digitale. Nell'uno e nell'altro provvedimento le multe per le società inadempienti saranno miliardarie.

Quanto alla Russia, la volontà di tenere a bada i colossi del big tech si sposa con il desiderio di mettere sotto controllo, per motivi politici interni, Internet e le sue voci, unica parte del sistema informativo che sfugge al vaglio del Cremlino. Se n'è avuta la prova per le recenti manifestazioni pro-Navalny, quando un social come TikTok fu costretto a cancellare migliaia di video per scampare alla chiusura.

In tutti i casi e nonostante gli attacchi, per Facebook e compagnia c'è comunque una fonte di consolazione: i bilanci. Secondo dati dell'Economist, le prime 10 società digitali per dimensioni hanno realizzato nel 2020 utili per 261 miliardi di dollari, con un valore di Borsa pari a 3,9 migliaia di miliardi.

Davvero non male.

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