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"I complici di Palamara vogliono occultare le loro trame segrete"

Il gip di Roma invoca il Colle per riformare il Csm: "Basta con le correnti, ora sorteggio"

"I complici di Palamara vogliono occultare le loro trame segrete"

«Con altri colleghi abbiamo pensato di fare un appello al capo dello Stato, in qualità di garante della Costituzione, coinvolgendo anche la società civile». Clementina Forleo è gip al Tribunale di Roma ed è tra le firmatarie dell'appello a Sergio Mattarella perché intervenga sulla riforma del Csm dopo le storture denunciate dall'ex leader Anm Luca Palamara nel libro-intervista Il Sistema scritto da Alessandro Sallusti. Tra i magistrati c'è chi vuole riformare la giustizia e chi fa spallucce. «Altri vertici della magistratura associata tentano di occultare maldestramente gli stretti rapporti per anni intessuti con lo stesso Palamara e grazie ai quali il sistema si è alimentato con la spartizione clientelare di ogni incarico, con la punizione esemplare di magistrati ritenuti scomodi», dice la Forleo, cacciata da Milano nel 2007 mentre da gip voleva indagare sul Pd nell'inchiesta sulle scalate bancarie Unipol-Bnl, come ebbe a dire pochi giorni fa davanti alle telecamere di Quarta Repubblica, con «un'operazione che, qualora dovesse essere corroborata da altre prove, non esiterei a definire criminale, dovuta a una sorta di compromesso tra un certo potere politico toccato da delicate indagini e certi vertici del potere giudiziario». Ecco perché la Forleo, insieme ad altri colleghi, da tempo auspica una riforma «che preveda l'estromissione dall'organo di autogoverno delle toghe, ossia dal Csm, delle cosiddette correnti» perché così «si eliminerebbe ogni consorteria interna al Potere giudiziario con maggiore garanzia di indipendenza del singolo magistrato e, a cascata, con maggiore tutela dei diritti del cittadino che ha l'esigenza primaria di avere non solo giudici indipendenti ma anche giudici che appaiano indipendenti».

Brutto leggere negli sms di Palamara di colleghi che tramano alle spalle di altri... Quando parla di chi vuole insabbiare tutto a chi pensa?

«Penso, tra tutti, a un contatto con cui un noto Procuratore della Repubblica, di sinistra, chiedeva al dottor Palamara di vedersi al solito posto: da paralleli contatti del dottor Palamara con altri esponenti della magistratura associata anche intranei al Csm, si comprendeva a chiare lettere come l'incontro fosse stato voluto per caldeggiare la nomina, poi effettivamente avvenuta, di un Procuratore Aggiunto particolarmente gradito a quel Procuratore. Ancora penso a quel contatto con cui un ex esponente del Csm interloquiva con il dottor Palamara dicendogli: Ricordati che ti ho sistemato P. a patto che mi sistemassi O.!. Infine, e con tanta amarezza, penso a un colloquio intercorso tra il dottor Palamara ed altro esponente del Csm, con il quale si concordava di emettere un provvedimento disciplinare nei confronti di un collega come segnale da mandargli, come scelta politica in quel momento ritenuta necessaria al sistema. Trattasi di comunicazioni già pubblicate da organi di stampa e dunque a conoscenza del comune cittadino, con conseguente immane discredito dell'intera categoria e dei tantissimi magistrati che ogni giorno indossano la toga con onore».

C'è fermento tra i suoi colleghi dopo la vostra iniziativa. Secondo lei può scoppiare un nuovo caso Palamara o è stato un caso isolato?

«Non credo, anzi è solo la punta di un iceberg rimasta per lungo tempo sommersa e casualmente, grazie ad un trojan e al successivo sequestro di un telefono cellulare, venuta alla luce».

Da quel che emerge c'è un sottobosco pericoloso di relazioni tra pm inquirenti e magistratura giudicante. È favorevole alla separazione delle carriere?

«Sulla separazione delle carriere mi espressi favorevolmente nel gennaio del 2007 nel corso di un convegno organizzato a Milano dalle Camere Penali. Ci fu una standing ovation della classe forense presente, come da titolo apparso sul Corriere della Sera, ma molti miei colleghi non la presero bene. Ritengo anche oggi, senza timori, che solo attraverso un'effettiva parità tra accusa e difesa il nostro sistema giudiziario potrebbe essere all'altezza di un vero e proprio Stato di diritto».

Che ne pensa di De Magistris e di quel che gli è successo? Nel libro Il caso Genchi di Edoardo Montolli si legge: «Le due inchieste, quella sulle scalate bancarie e quella su Why Not, avevano individuato un medesimo bacino di persone su cui cercare di far luce». Lo ha letto? È così?

«Sul parallelismo della mia vicenda con quella di Luigi De Magistris, ritengo che l'elemento chiave sia da riconnettersi ad una strana coincidenza: nello stesso giorno e nella stessa fascia oraria giunsero nei nostri rispettivi uffici di Milano e di Catanzaro, due lettere minatorie vergate da una stessa mano e con allegato un proiettile, e ciò parallelamente ad attacchi di certa stampa e all'assoluto isolamento anche interno alla categoria.

Il resto è Storia».

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