Suleymania Le brulle montagne del confine con la Repubblica islamica dell'Iran ricordano il deserto dei Tartari. Torrette di cemento da tenente Drogo spiccano sui punti più alti collegate da lunghe reti metalliche, ma è impossibile sigillare la frontiera con il Kurdistan iracheno. A pochi chilometri da Suleymania, inoltrandosi nella foresta attorno al borgo turistico di Byara, incrociamo un rigagnolo d'acqua con gli aspiranti reporter e lettori avventurosi della "Frontline Academy" del Giornale. Basta oltrepassarlo facendo un passo più in là e sei in Iran, senza nessun controllo. La sicurezza, però, ci consiglia di non andare oltre per evitare di incappare nei pattugliamenti a singhiozzo dei Pasdaran.
La confinaria regione curda iraniana è sempre stata una spina nel fianco degli ayatollah. Non è un caso che gli oppositori curdi del regime teocratico siano organizzati da anni con partiti e costole in armi nel Nord dell'Iraq. I tre gruppi anti ayatollah più noti sono il Partito democratico del Kurdistan iraniano, il Partito per la Vita Libera e il movimento Komala.
A bordo strada ci attende un pick-up con le quattro frecce accese: è il segnale dei Peshmerga curdi iraniani per seguirli lungo una strada di montagna fra Sulaymaniyah ed Erbil. Alla fine arriviamo nel nuovo campo di Komala con postazione di guardia all'ingresso e un giovane Peshmerga che saluta con la mano sul petto. Alyar Kako, in divisa nera da dirigente del Comitato centrale del partito, ci attende davanti ad una tavola imbandita all'aperto per gli ospiti italiani.
"Sono nato a Bukan nel Kurdistan iraniano, ma a 15 anni i genitori mi hanno portato in Norvegia come rifugiati politici" racconta Kako. "I missili iraniani lanciati verso Israele durante la guerra dei 12 giorni, di pochi mesi fa, passavano sopra le nostre teste", ricorda il curdo iraniano indicando con un braccio la traiettoria degli ordigni. Komala è nato come movimento clandestino di ispirazione marxista-leninista, ma il comunismo duro e puro ha fatto il suo tempo. "Siamo diventati socialdemocratici e facciamo parte dell'Internazionale socialista - sottolinea Kako - crediamo nei diritti umani e in un Iran libero dove i curdi possano godere di un'importante autonomia come i nostri fratelli in Iraq. L'indipendenza è un sogno, ma irrealizzabile nel Medio Oriente di oggi". Ufficialmente Komala ha rinunciato a compiere infiltrazioni armate in Iran per non abusare dell'ospitalità del Kurdistan. "Qualche attacco contro i Pasdaran serve a poco - spiega l'attivista - La nostra strategia è appoggiare la rivolta sociale interna".
Il campo è un insieme di prefabbricati appena installati e tende dove vivono le reclute Peshmerga, che arrivano dall'Iran. Komala è il primo partito in Medio Oriente che ha arruolato le donne. Jina, con i capelli raccolti e una kefya curda sulle spalle, è giovanissima. Il suo nome significa "vita". "In Iran ho partecipato alle proteste per le donne e la libertà - racconta alla Frontline Academy del Giornale in un video pubblicato sul sito - La repressione, la diseguaglianza mi hanno convinto ad arruolarmi nei Peshmerga".
Le reclute neanche ventenni ci fanno entrare in una tenda dove vivono e tengono a portata di mano i kalashnikov oltre a sfoggiare le bandiere con i volti degli "eroi" di Komala. Kako non si sbilancia, ma parla "di centinaia di uomini e tre campi in Kurdistan. E un milione di curdi iraniani vive in esilio, la maggioranza in Europa a cominciare dalla Germania". I droni iraniani ronzano spesso sopra il nuovo campo. Nel 2022, la base storica vicino a Suleymania è stata pesantemente bombardata con i velivoli senza pilota. Anche Kako deve guardarsi le spalle: "Non rimango più di due giorni in un campo e cambio spesso telefonino. Abbiamo una nostra intelligence che ci informa delle minacce e delle infiltrazioni iraniane in Kurdistan".
Un prefabbricato è adibito ad "Accademia" politica, ma pure centro stampa e propaganda. Cinque ragazze sveglie che smanettano sui computer e sui social. "Il regime continuerà a sviluppare il programma nucleare e missilistico", sostiene Kako -. E adesso dicono apertamente che "abbiamo bisogno della bomba atomica", come deterrenza. Il curdo in divisa nera è convinto che "per questo ci sarà una nuova guerra, più dura. Credo che questa volta l'obiettivo sarà uccidere il leader supremo (il grande ayatollah Alì Khamenei, ndr) per far crollare il regime".
La crisi economica, l'insoddisfazione della popolazione farà il resto: "Abbiamo bisogno dell'aiuto delle democrazie come gli Usa, dove abbiamo aperto un ufficio, perché il 2026 sarà l'anno cruciale. I Pasdaran sono divisi e alcuni ex presidenti all'interno dell'Iran si stanno preparando al cambio verso democrazia e libertà".