I danni di Guerra: l'Ilva brucia 300 milioni al mese

Il piano per Taranto dell'ex consigliere di Palazzo Chigi non decolla. E lui è fuggito a Eataly

I danni di Guerra: l'Ilva brucia 300 milioni al mese

«W la concorrenza. Per vedere tutta la Champions League quest'anno mi potrebbe costare 450 euro in più!!!». Così cinguettava lamentandosi su Twitter, lo scorso 26 agosto, Andrea Guerra. L'ex amministratore delegato di Luxottica a settembre 2014 ha lasciato dopo un decennio il gruppo veneto di occhialeria con in tasca 51,3 milioni al lordo delle tasse, fra stipendio, liquidazione e plusvalenze sulle stock option incassate. Durante il suo mandato il titolo è cresciuto da 14 a 40 euro e il fatturato da 2,8 a 7,3 miliardi. Ma ad Agordo il «trauma» del distacco da Guerra è stato superato rapidamente: il titolo nell'ultimo anno ha comunque guadagnato oltre il 65% e l'azienda ha chiuso i primi nove mesi del 2015 con un rialzo del 27% degli utili.

Faranno altrettanto a Palazzo Chigi o avranno nostalgia del super consigliere economico di Renzi che a inizio ottobre ha abbandonato l'incarico per diventare presidente esecutivo di Eataly? Secondo il Financial Times «il suo contributo più rilevante è stato presentare altre persone del mondo del business a Renzi, tra queste Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs, e Fabio Gallia, capo di Bnp Paribas in Italia». Ovvero i nuovi presidente e ad della Cdp che - secondo quanto promesso da Guerra a Renzi - col cambio di gestione sarebbe diventata il volano per la crescita economica. «Può servire per l'internazionalizzazione delle imprese, per le infrastrutture e magari anche per la bad bank (il cui progetto resta ancora fermo a Bruxelles, ndr )», ha detto Guerra a settembre in un'intervista alla Stampa .

Il problema è che la Cassa, pur non essendo una banca, deve sottostare alla vigilanza di Bankitalia data la sua importanza nelle operazioni di rifinanziamento. Non è quindi totalmente libera di spendere i soldi come vuole. Deve inoltre evitare di mettere a dieta di dividendi gli azionisti, ovvero lo Stato e le Fondazioni. Eppure il manager avrebbe voluto far intervenire Cdp, attraverso il braccio armato del Fondo Strategico, anche sul fronte dell'Ilva.

Molte promesse, pochi fatti: l'altoforno dell'impianto di Taranto sta bruciando 300 milioni di debiti al mese e servono circa un miliardo e mezzo di euro per rilanciare la produzione. Non ha aiutato la scelta di una squadra di manager estranea al mondo della produzione di acciaio, che invece richiede competenze specifiche.

Cui si sommano i ritardi nella costituzione della nuova società a partecipazione pubblica che, secondo i piani dell'ex consigliere di Renzi, doveva rilevare gli impianti siderurgici dalla gestione commissariale permettendo la nascita della nuova Ilva.

Sarà sicuramente un caso se in Luxottica il soprannome affibbiato da alcuni dipendenti a Guerra era «l'uomo delle montature».

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