I defunti? Sono soltanto "scomparsi". Se anche la Chiesa sceglie l'eufemismo

Crocefissi nascosti e paramenti inadatti: così le esequie vengono "svuotate"

I defunti? Sono soltanto "scomparsi". Se anche la Chiesa sceglie l'eufemismo

Capita di sentire omelie in cui il defunto viene definito «scomparso». Ma allora anziché il prete andava chiamata Federica Sciarelli di Chi l'ha visto, il programma dedicato alle ragazze scappate di casa e ai vecchi malati di Alzheimer che si sono dimenticati l'indirizzo. Se uno è scomparso c'è speranza di ritrovarlo, mentre invece i funerali si fanno ai morti e nei loro riguardi l'unica speranza è ultraterrena. Capita di vedere chiese dove non c'è il crocifisso oppure dove c'è un crocefisso che non sembra tale, talmente stilizzato che non si capisce cosa sia e per decifrarlo ci vorrebbero un convegno della Cei, due liturgisti, quattro critici d'arte e otto teologi che ovviamente si guarderebbero bene dal dire che l'astrazione è una forma di rimozione, un tentativo di negare la realtà oltre che il Vangelo. «L'iconoclasmo non è un'opzione cristiana» disse tanto tempo fa un signore passato di moda, anzi, mai stato davvero di moda, e sto parlando di Joseph Ratzinger. La croce sopra l'altare di San Giovanni Rotondo, nella chiesa-hangar con la quale Renzo Piano ha tradito Padre Pio, sembra un assemblaggio casuale di pezzi metallici: dov'è il corpo martoriato dai chiodi, dalle frustate, dalla corona di spine, dalla lancia del soldato romano, quella carne dolente e realisticamente raffigurata che ha commosso i cristiani per secoli e secoli? Aveva ragione lo psicanalista James Hillman: «L'anima è costretta a scappare dal minimalismo». Non so a voi, a me le chiese che somigliano a gallerie d'arte contemporanea mettono voglia di uscire in fretta. Anziché consolare, questi luoghi dove la morte non viene più mostrata né citata fanno disperare: la religione nasce come risposta al mistero della morte e se il clero nemmeno pone la domanda ecco che tutto l'apparato ecclesiastico appare tragicamente inutile.

È come se temessero di impressionare i fedeli. Il due novembre, giorno dei morti, è difficilissimo trovare un sacerdote che dica messa coi paramenti neri, e solo una striminzita minoranza di parroci celebra in nero i funerali. Qualcuno in Sardegna, qualcuno in località lombarde non di prima grandezza quali Albizzate, Sumirago, Gorla Maggiore... Se il «de cuius» non abitava ad Albizzate, Sumirago o Gorla Maggiore molto probabilmente avrà un funerale coi paramenti normali, cosa che vorrebbe essere sdrammatizzante e che invece è solo banalizzante. Come se non bastasse, negli ultimi tempi i preti si sono messi a benedire le ceneri. Una volta era impensabile, siccome la cremazione è tipica delle religioni orientali e poco o punto compatibile con la resurrezione, ma poi cominciarono le eccezioni e, siccome un'eccezione tira l'altra, adesso ci sono vescovi che si offrono di benedire le ceneri di Bernardo Provenzano, non so se mi spiego. Michel Houellebecq, che pure non mi risulta cattolicissimo, in uno dei suoi romanzi ha definito seri soltanto i funerali con la bara: «Un funerale che non cercava di eludere la realtà del decesso».

Troppi preti cercano di eludere o accettano che si eluda dando forma a una sorta di catto-buddismo, culto sul nichilista andante che invoglia tanti italiani a rivolgersi al culto nichilista originale e quindi a Budda. Scomparsa la morte, dunque, scompaiono anche i fedeli.

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