Il segretario dem Nicola Zingaretti lascia intendere di essere ancora pronto ad andare subito ad elezioni. Che continuano a sembrargli l'esito «più probabile», come dicono i suoi, perché «la strada di una intesa seria con i grillini è tutta in salita».
Del resto il povero Zingaretti aveva già la campagna elettorale pronta: slogan «Costruiamo un'Italia più bella», foto di lui sorridente in maniche di camicia in mezzo alla gente. Nella convinzione che Salvini avesse la situazione in pugno, e il voto anticipato fosse inevitabile. Invece, a scombinare i piani, è spuntato come un misirizzi Matteo Renzi, che con poche mosse, apparentemente azzardate, ha mandato Salvini a schiantarsi contro un muro e ha cambiato il mood dentro il Pd. Ieri l'ex premier ha anche annunciato che ricomincia la raccolta firme sulla sua petizione per sfiduciare Salvini: «Chi perde si dimette. Il Viminale ha bisogno di sicurezza, non di odio».
Con la (rumorosa) eccezione di Carlo Calenda, che minaccia di andarsene in caso di accordo con M5s, e quella (silenziosa) di Paolo Gentiloni, i dirigenti dem - quelli renzinani, poi quelli di «mediazione», poi anche quelli più vicini al leader - sono venuti allo scoperto uno dopo l'altro, dicendosi a favore dell'operazione messa in piedi dall'ex premier: da Bettini a Franceschini, da Martina a Orfini, da Guerini a Delrio a Minniti. «Le condizioni per una maggioranza ampia, di legislatura» vanno valutate, secondo l'ex titolare del Viminale.
Mercoledì prossimo, nella Direzione del partito, il segretario (che in queste ore ha parlato con Renzi) dovrà prendere posizione, e i renziani sono convinti che «non potrà che aprire, perché intorno a lui tutti sono venuti sulla nostra linea». Gli zingarettiani di stretta osservanza restano però cauti. La sua vice Paola De Micheli, smentisce di essere stata incaricata di aprire il canale con i grillini, e liquida i contatti come «normali scambi di chi si incontra in aula». Spiega: «Non siamo a ora di fronte a fatti nuovi da parte del M5s. I 5Stelle sono gli stessi che hanno sostenuto il governo Conte, dicono le stesse cose. Noi siamo il Partito democratico e tendenzialmente decidiamo assieme. Autorevoli esponenti della minoranza possono e devono esprimere liberamente la loro opinione. Ma poi si esprimono gli organismi e l'ultima parola è del segretario». È però chiaro a tutti che M5s, pur di rimanere al governo e in Parlamento, è pronto a molti compromessi. Tant'è che il padrone della ditta, Casaleggio jr, fa sapere che l'unica condizione è che l'interlocutore «non sia Renzi». Condizione finta, ovviamente, visto che l'ex leader è stato il primo a sottolineare che «tocca al segretario» gestire la partita.
Calenda è l'unico a dar voce a un forte dissenso, e a usare toni assai aspri verso Matteo Renzi. Dando vita ad una vera e propria zuffa social con i supporter dell'ex premier.
«Ho detto con chiarezza e da molto tempo cosa farei in caso di alleanza Pd-5S e intendo comportarmi coerentemente. La politica delle giravolte ha distrutto la credibilità della politica. Per quello che vale non intendo accodarmi», annuncia su Twitter.
Poi, con tanto di ritagli stampa, rinfaccia a vari esponenti renziani le loro prese di posizioni anti-grilline (da Marattin a Scalfarotto a Marcucci) chiedendo a brutto muso: «Non è che forse siete diventati talmente tifosi da aver perso di vista la realtà?». Scalfarotto replica col titolo di una intervista di aprile a Calenda: «Serve un governo di transizione Pd-M5s e Lega». E ammonisce: «Carlo, te lo dice un amico. Smettila. Non stai facendo una gran figura».
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