Il teatrino del governo: quanti litigi di facciata

I dissidi tra ministri e premier buoni solo per intrattenere il pubblico. Alla fine comanda Matteo

Il teatrino del governo: quanti litigi di facciata

L'analisi più tagliente l'ha fatta il suo predecessore a Palazzo Chigi, Enrico Letta, fatto traslocare da un giorno all'altro senza tanti complimenti: «Renzi non governa, comanda». Le maniere spicce di risolvere i conflitti interni non riguardano solo la minoranza Pd, il caso più evidente: mesi di minacce, lamenti, tamburi di guerra, per poi mandar giù tutto il menù messo in tavola dal segretario, compresa la riforma del Senato su cui promettevano sfracelli. Ma anche con i colleghi di governo, ministri e loro vice, i sottoposti che - si racconta - Renzi soprannomina ironicamente «sgabelli», le voci dissonanti durano poco, e tutto finisce sempre come voleva il premier, e lo scontro si risolve nel nulla. A partire dal sottoposto di più alto grado, il ministro dell'Economia, che in altri occasioni può diventare un osso durissimo (ne sa qualcosa Berlusconi con Tremonti). Padoan ha più di una volta dovuto piegare la testa su richieste inizialmente respinte come insostenibili. L'ultima è sulla flessibilità per l'età pensionabile. Quando è iniziato il pressing sulle pensioni il ministro, allertato dai tecnici del Tesoro, ha provato a infilare dei paletti: attenzione che saltano i conti pubblici. Ieri, in audizione alla Camera, aveva già cambiato verso: «Il governo è impegnato ad analizzare la questione a partire dalla legge di Stabilità. Una maggiore flessibilità di per se è un aspetto positivo, che potrebbe essere utile al fine di venire incontro a specifici gruppi di cittadini vicini all'età pensionabile». Così come scettico sul ritocco ai parametri delle pensioni è stato, fin dall'inizio, il ministro del Welfare Giuliano Poletti, anche lui adesso già al lavoro per metterla in pratica.

Allo stesso modo al Tesoro erano state superate le diffidenze sul bonus degli 80 euro, l'anno scorso. Per evitare ancor di più fastidi, Renzi ha costituito a Palazzo Chigi una task force economica che di fatto è un ministero ombra del Tesoro. Addirittura, ha scritto Bisignani sul Tempo , ci sarebbe l'idea di spostare anche la Ragioneria dello Stato e metterla sotto Palazzo Chigi. Un fronte aperto di divergenza, al momento, sarebbe quello del Mezzogiorno. Il premier vuole un piano speciale (leggi: risorse) per il Sud, con un ministero ad hoc. Padoan non è d'accordo. Si vedrà come finisce.

Anche le divergenze sull'Istruzione si sono rivelate un teatrino per intrattenere il pubblico. La ministra Stefania Giannini, ex montiana poi passata al Pd dopo la diaspora di Scelta civica, svolge il ruolo di parafulmine per le proteste degli insegnanti, ma il comando vero delle operazioni è nel renziano Davide Faraone, sottosegretario nello stesso ministero. Ma soprattutto alla «vigilessa» Antonella Manzione, chiamata dal Comune di Firenze a Palazzo Chigi come capo del legislativo.

Il testo della «Buona Scuola» è stato riscritto dal Dagl, il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi di palazzo Chigi, guidato dalla fedelissima del premier. Con lo spettro del rimpasto, poi, e il giro di poltrone che potrebbe lasciare qualcuno a piedi, tende a spegnere ogni barlume di conflitto, per quanti ne covino realmente.

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