Bologna, la Festa dell'Unità, «Bella Ciao» all'osteria dell'Anpi, l'associazione dei partigiani. Giuseppe Conte in mattinata riparte verso il Piemonte - ieri tappa a Novara e poi a Torino - ma nel gruppo parlamentare grillino ancora si contano gli strascichi del passaggio emiliano del tour del nuovo presidente del M5s. Pesano le frasi dal sen fuggite sulla stanchezza di fare il leader di partito, provocano ancora più scompiglio le parole di resa, ripetute a ogni appuntamento, sul voto nelle città del 3 e 4 ottobre. Conte mette le mani avanti, dice chiaramente di aspettarsi risultati deludenti dal suo Movimento, sottolinea che lui non si è occupato della formazione delle liste in questa fase. Di conseguenza la truppa stellata sbanda, convinta che l'avvocato di Volturara non sia in grado di guidare la macchina che gli attivisti gli hanno affidato con il voto online di inizio agosto. A proposito della sbornia bolognese e degli applausi alla Festa dell'Unità, una fonte parlamentare di primo piano interna al M5s ci dice: «Ormai fa campagna elettorale per il Pd». Sono sempre di più a pensarla così. Non solo tra i governisti e tra i pochi nostalgici di Davide Casaleggio.
Il tour di settembre, anziché lanciare un leader, sta mandando in confusione i parlamentari. La sensazione è quella di avere un capo dimezzato, un condottiero che non vede l'ora di scendere da cavallo per accomodarsi di nuovo a Palazzo Chigi con l'aiuto del Pd. Deputati e senatori, a taccuini chiusi, confessano di sentirsi abbandonati dal nuovo corso. E infatti solo in pochi versano i contributi al partito. Intanto ieri l'Adnkronos ha dato conto dei finanziatori della campagna elettorale di Virginia Raggi. Nell'elenco, oltre a eletti locali e parlamentari, figurano diverse aziende, soprattutto ditte di costruzioni. Ma tirando le somme del disagio, possiamo dire che nel M5s ormai in troppi credono di avere un leader che lavora per un altro partito, il Pd.
Da Torino, dove i Cinque Stelle corrono da soli, Conte svicola, come aveva fatto già a Roma e a Milano. «Se andremo al ballottaggio, come credo, mi auguro che il Pd ci appoggi», dice senza troppa convinzione. Anche perché la candidata grillina Valentina Sganga è accreditata dai sondaggisti non oltre il 10%. L'ex premier aggira le domande sul rapporto con il Pd. «Con le forze dell'area di centrosinistra e con il Pd in particolare - aggiunge - coltiviamo un dialogo continuo e costante. Ma in alcune realtà territoriali questo non è stato possibile, e una di queste è Torino». L'impressione è che per il neo leader ci siano competizioni più importanti di altre. Milano, Roma e Torino sono vissute quasi come un fastidio, un'incombenza da sbrigare senza entusiasmo, mentre lo stato maggiore contiano punta su Napoli e Bologna. Nella città partenopea Conte vede la vittoria, con il sostegno a Gaetano Manfredi, civico più vicino ai dem che al M5s, nel capoluogo emiliano invece i grillini appoggiano direttamente il candidato di apparato del Pd, Matteo Lepore. Molti stellati non si rassegnano all'idea di fare del partito fondato da Beppe Grillo il junior partner del Partito Democratico, eppure sembra proprio questa la strategia del nuovo capo. Sintomatico il silenzio di Grillo, impalpabile in campagna elettorale.
È evidente che il fondatore è pronto a mettere in discussione Conte appena gli si presenterà la possibilità. Intanto la sintesi del momento ce la offre un parlamentare alla prima legislatura: «Siamo passati dal V-Day alla Festa dell'Unità».
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