Per molti versi inatteso, il vero e forse ultimo elemento di «stabilità» di una maggioranza sempre più litigiosa è Mario Draghi. L'ex numero uno della Bce, infatti, è sì stanco e a tratti insofferente verso le beghe che ormai da settimane stanno paralizzando la maggioranza, ma è pure consapevole che alternative non ce ne sono. Si andrà, dunque, avanti così. Con Giuseppe Conte e il M5s ad alzare trincee sul fronte della politica estera (armi all'Ucraina) e Matteo Salvini e la Lega a scavare fossati sul versante interno (ddl Concorrenza).
Se poi - come davvero inizia a temere Draghi - non si riuscirà a tenere in piedi un equilibrio dignitoso tra le diverse e contrapposte anime («spinte elettorali», le chiama il premier), allora saranno i partiti della maggioranza che dovranno farsi carico di un eventuale show down. Di certo - il concetto l'ex Bce lo ribadisce in maniera esplicita a diversi interlocutori - così non si può più andare avanti. Anche perché, ormai, tutti «attendono un segnale esplicito». Resta sullo sfondo, ovviamente, il piano per la pace in quattro punti presentato all'Onu dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Un possibile punto di caduta, anche se al momento non pare che la diplomazia internazionale sia rimasta particolarmente colpita dalla proposta della Farnesina.
Così, nella sua trasferta di ieri in Veneto, il premier parla soprattutto della guerra in Ucraina. «Un errore spaventoso fatto da Putin», dice Draghi. E - aggiunge forse con uno sguardo agli appelli di Conte e Salvini - pur avendo chiesto a Mosca la pace ho «trovato un muro». Insomma, il patto per il cessate il fuoco presentato alle Nazioni Unite da Di Maio e accolto con favore e qualche paletto sia a Kiev che a Bruxelles fatica a guadagnare terreno. Anche perché sulla strada c'è un ostacolo enorme da superare: il muro eretto da Putin. Che di fine del conflitto, almeno per il momento, sembra non volerne proprio sapere.
Lo ha spiegato bene Draghi, parlando con gli studenti di una scuola media del veronese. «L'ultima volta che ho parlato con il presidente Putin ho cominciato la telefonata dicendo: La chiamo perché voglio parlare di pace. E lui mi ha detto: Non è il momento. E ancora: La chiamo perché vorrei che ci fosse un cessate il fuoco. E lui: Non è il momento».
Insomma, una barriera impenetrabile quella alzata dallo zar, che però non scoraggia l'Italia. «Ho avuto più fortuna quando sono andato a Washington», ha spiegato il presidente del Consiglio ricordando la sua visita alla Casa Bianca di qualche settimana fa. «Parlando con Biden gli ho detto che forse è solo da lui che Putin vuole sentire una parola. E quindi gli ho detto di telefonare a Putin. Il giorno dopo, non lui, ma i ministri della Difesa russo e americano si sono sentiti».
Un pressing, dunque, andato a buon fine.
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