Il governo non ha mai autorizzato la Cina ad aprire stazioni di polizia in Italia e la loro eventuale presenza non ha nulla a che vedere con gli accordi sui «pattugliamenti congiunti» siglati nel 2015 dall'allora ministro degli esteri Paolo Gentiloni. La nostra polizia e l'intelligence indagano però sulle attività di una struttura denominata «Overseas Chinese Center» sospettata di fornire copertura alle forze di polizia cinesi infiltrate nel capoluogo lombardo. Così nel question time di ieri alla Camera il ministro Matteo Piantedosi ha riassunto le indagini in corso sulle presunte attività dei «commissariati clandestini» gestite nel nostro Paese dalle autorità cinesi.
«La vicenda - ha detto il ministro - non ha alcuna attinenza con gli accordi di cooperazione internazionale di polizia fra Italia e Cina e con gli accordi sui pattugliamenti congiunti con personale delle rispettive polizie». Nell'intervento il ministro dell'Interno si è ben guardato dall'avvallare l'inchiesta pubblicata dalla Ong Safeguard Defenders che denuncia la presenza di 11 centrali di polizia cinesi sparse tra Milano, Roma, Firenze, Prato, Venezia, Bolzano e la Sicilia. A dar retta al ministro l'unica struttura fin qui effettivamente individuata è quella di Prato. Si indaga, invece, su un ufficio analogo denominato «Overseas Chinese Center» con sede a Milano. Su entrambe il ministro non si sbilancia più di tanto. A suo dire la struttura di Prato, menzionata già lo scorso settembre in un articolo de Il Foglio, fa capo a un'associazione culturale della provincia cinese di Fuzhou e ha iniziato ad operare dallo scorso marzo occupandosi del «disbrigo di pratiche amministrative». Piantedosi chiarisce che sono stati ascoltati sia il consigliere amministrativo della struttura di Prato, sia l'ufficiale di collegamento dell'Ambasciata cinese responsabile dei rapporti con le forze di sicurezza italiane. Entrambi avrebbero giustificato l'attività della sede, ora non più attiva, con la necessità di accelerare il rinnovo dei documenti dei cittadini cinesi bloccati in Italia dal Covid. Una spiegazione quantomeno inconsueta visto che il disbrigo delle pratiche amministrative all'estero spetta ai consolati.
Il ministro non si sbilancia, invece, sul ruolo dell'«Overseas Chinese Center» di Milano limitandosi a spiegare che sono in corso indagini approfondite. Il nome della struttura basta comunque a giustificare i sospetti. L'appellativo di «Overseas Center», spesso unito al «110» (il numero d'emergenza della polizia cinese), accomuna molti dei posti di polizia insediati in Paesi stranieri dalle autorità di Pechino. Veri e propri commissariati che verrebbero usati non solo per rilasciare certificati, ma anche per sorvegliare i propri cittadini o, peggio, costringerli al rientro coatto in patria.
Le attività cinesi nel nostro Paese denunciate da Safeguard Defenders stanno comunque risvegliando l'attenzione della politica. Il senatore della Lega Claudio Borghi rivendica di esser stato «il primo a sollevare la questione in Italia, a settembre» e propone di portare il tema all'attenzione del Copasir in quanto rientra nelle «questioni di sicurezza nazionale».
E a rilanciare l'allarme ci pensa anche Dario Nardella, sindaco di quella Firenze dove secondo Safeguard Defenders opera una delle strutture di polizia di Pechino. «Trovo un fatto grave - dichiara Nardella - che nascano in giro per l'Italia delle vere e proprie stazioni di polizia parallele, del tutto illegali perché non rientrano nell'ordinamento dello Stato».
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