Coronavirus

I giudici bacchettano Speranza: "Sulla gestione del Covid serve trasparenza"

La sentenza del Consiglio di Stato chiude la querelle "piano segreto". I giudici: "Seguire il principio della 'casa di vetro'"

I giudici bacchettano Speranza: "Sul Covid serve trasparenza"

Il governo deve essere una "casa di vetro". Lo scrive il Consiglio di Stato in una sentenza e fissa un principio che sa di bacchettata nei confronti del ministero della Salute diretto da Roberto Speranza. L’esecutivo, scrivono infatti i giudici, dovrebbe garantire “massima trasparenza” sugli “atti” con cui “le autorità sanitarie hanno inteso fronteggiare, sin dal principio, la diffusione della pandemia da Covid-19”. Trasparenza fino ad oggi non proprio dimostrata nei fatti.

Il monito è contenuto all’interno della sentenza del 24 giugno scorso con cui i cinque giudici del Consiglio di Stato, presieduti dal presidente Franco Frattini, hanno dichiarato “improcedibile” il ricorso presentato dal ministero della Salute sulla sentenza del Tar del Lazio che aveva condannato il dicastero a rendere pubblico il “piano segreto” anti-Covid. Polemica di vecchia data, ormai. L’incipit risale all’agosto del 2020 quando due deputati di FdI, Marcello Gemmato e Galeazzo Bignami, presentano un accesso agli atti per ottenere copia del “Piano nazionale emergenza” rivelato ad aprile in una incauta intervista al Corsera dal dirigente Andrea Urbani. Caduta nel vuoto la richiesta, i due si rivolgono al Tar, combattono un’infuocata battaglia legale con l’Avvocatura dello Stato e infine vincono: a gennaio 2021 il Tribunale condanna il ministero “all’esibizione entro 30 giorni del documento”. Il 17 febbraio un “piano” finisce sul sito, ma è datato febbraio e non gennaio come dichiarato da Urbani. E qui la faccenda si complica. Il ministero ritiene infatti che il “piano segreto” citato nell’intervista non esista, ma che vi siano solo degli “atti istruttori” che - in quanto tali e classificati - non potevano essere resi pubblici all’epoca dell’accesso agli atti. Così, pur fornendo ai deputati quel “piano nazionale anti Covid” di febbraio, l’Avvocatura decide lo stesso di presentare ricorso. Un po’ per evitare di dover sopperire alla condanna alle spese. E un po’ per una questione di principio: voleva veder “affermare la piena legittimità della propria condotta” e sanare il “pregiudizio gravissimo e irreparabile” che il Tar avrebbe cagionato “sull’operato e la serietà dell’Amministrazione sanitaria”.

Il Consiglio di Stato a giugno ha preso atto che i documenti erano stati forniti e chiuso la vicenda: ha annullato la sentenza del Tar senza rinvio, ma lo ha fatto perchè la pubblicazione del “Piano Sanitario Nazionale” anti Covid ha “soddisfatto l’interesse” dei due deputati. Tradotto: avendo ormai ottenuto il documento richiesto, di fatto il ricorso in primo grado al Tar si estingue e rende "improcedibile" anche l’appello del Ministero. Fine della storia: dopo "l'ostensione del documento contestato”, per Palazzo Spada vi è una "carenza di interesse" nel proseguire nella causa. E così si conclude la lunga battaglia legale che tiene banco da quasi un anno.

Non proprio una vittoria per il dicastero, che aveva chiesto il rigetto del ricorso sulla domanda di accesso civico formulato in principio dai deputati. La sentenza è chiara. Primo: in quanto alle spese, il Consiglio di stato dispone che i due deputati vengano rimborsati i costi sostenuti per attivare il ricorso al Tar. Secondo: pur ammettendo che vi fossero “esigenze di riservatezza” sul Piano anti-Covid, i giudici sottolineano che il ministero ha fatto valere questo dettaglio solo in secondo grado. E poi riconoscono che “il documento richiesto” da Bignami e Gemmato con l’originaria istanza d’accesso “esisteva” eccome, anche se, essendo un documento di studio, “non coincideva del tutto con quello al quale si faceva allusione nell’intervista di Urbani”. Infine, la stilettata: per le toghe, l'esecutivo dovrebbe soddisfare “sempre di più” l’interesse pubblico “ad ottenere la massima trasparenza in ordine agli atti con i quali il governo e le autorità sanitarie hanno inteso fronteggiare, sin dal principio, la diffusione della pandemia”. Insomma: l’esecutivo dovrebbe “far luce” su tutte le decisioni che “hanno condotto” all’adozione di “misure emergenziali fortemente incidenti sull’esercizio dei diritti fondamentali” dei cittadini. E poco importa se si tratta di atti preparatori, istruttori, complessi o articolati. Fatte salve le esigenze di riservatezza, il governo deve essere una “casa di vetro”.

Esultano i deputati di FdI Gemmato e Bignami: “Non solo abbiamo ottenuto i documenti - dicono - ma il Consiglio di Stato ha affermato un principio destinato a diventare un apripista per chiunque vorrà vederci chiaro sulle scelte del governo”.

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