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I giudici «buonisti» restituiscono il bebè a mamma Martina

Il Tribunale le ha consentito di vedere il neonato una volta al giorno. Lei: «Felicissima»

Benvenuti nell'Italia del compromesso. Quella che dice nero, ma anche un po' bianco. Massì, facciamo pure grigio. La giustizia non fa eccezione. Anzi, a volte è il regno delle «mezze tinte». Il caso del neonato «sottratto» alla mamma (quella Martina Levato condannato a 14 anni per aver sfregiato con l'acido il suo ex fidanzato) ne è l'ennesima riprova.

Il primo flash di agenzia è delle 18.45 di ieri sera: «I giudici hanno deciso, Martina Levato potrà vedere figlio una volta al giorno, per un tempo limitato e con l'esclusione dell'allattamento». E un minuto dopo: «Giudici, sì a Icam per Levato ma aperta procedura adottabilità». Insomma, questo bimbo sarà dato in adozione o resterà con la madre? Passano i minuti e le agenzie sciolgono il nodo fondamentale: «È stato affidato temporaneamente al Comune con la nomina di un tutore, il bimbo di Martina Levato e Alexander Boettcher nato il 15 agosto». Insomma, in questa fase norme, procedure e codicilli consento «svariate» letture, ma è indubbio che il pronunciamento («provvisorio») del Tribunale dei minori di Milano segni un punto a favore della linea difensiva di Martina Levato e del suo compagno Alexander Boettcher, anche lui condannato a 14 anni per l'aggressione all'acido contro Pietro Barbini.

Subito dopo il parto, il pm aveva tolto il piccolo alla madre, scatenando un mare di polemiche: per lo più strumentali, considerato che la decisione era solo finalizzata all'«interesse del minore». A giudizio della pm Annamaria Fiorillo, infatti, il contatto tra mamma e neonato «avrebbe peggiorato le cose in prospettiva di un futuro distacco»; un «distacco» da una coppia di «genitori diabolici» - si legge nelle perizie alla base della decisione del pm - «assolutamente privi di capacità genitoriale». Ma questo non è certo bastato ai genitori di Martina e Alexander che hanno riservato al pm Fiorillo parole durissime, ai limiti della querela. Ma ieri i nonni del piccolo Achille e i suoi genitori (autodefinitisi «disperati e distrutti dalla decisione del pm Fiorillo») hanno ottenuto una prima, significativa, rivincita.

«Una volta al giorno per tempo contenuto e insieme a un assistente sociale», queste infatti le condizioni secondo le quali Martina Levato potrà iniziare a vedere il figlio (già ieri sera, tra i due, c'è stato il primo abbraccio). Tutto merito del provvedimento «buonista» adottato ieri i giudici del Tribunale dei minori di Milano.

Un buonismo però che, al di là delle apparenze, alla lunga risulterà controproducente sia per la mamma che per il piccolo Achille. Quando infatti il bimbo sarà dato in adozione permanente a una famiglia esterna, tutto diventerà più difficile perché mamma e figlio, nel frattempo, si saranno affezionati reciprocamente. Insomma, proprio ciò che «temeva» il pm Fiorillo e che, proprio per questa ragione, aveva saggiamente disposto l'immediato allontanamento del bimbo.

Ma ora, invece, a regnare è l'euforia: «Anche i genitori di Martina e Alexander ora potranno vedere una volta al giorno il nipote in orari ospedalieri e sono, per questo, felicissimi e soddisfatti dalle decisioni dei giudici, che hanno permesso alla figlia di vedere il bebè», riferisce il legale della famiglia Levato, Laura Cossar. Che aggiunge: «Il provvedimento, che permette a Martina Levato di vedere il figlio almeno una volta al giorno, è sobrio, equilibrato e motivato. Siamo abbastanza soddisfatti». Ma, questa del Tribunale dei minor, non è un pronunciamento che rigetta totalmente l'operato del pm Fiorillo, la cui richiesta di apertura del procedimento di adottabilità è stata infatti accolta (ma su questa dovrà esserci una decisione successiva nel merito). Nel frattempo mamma e figlio, una volta dimessi dalla clinica Mangiagalli, verranno trasferiti nell'Icam, la struttura per madri detenute con figli piccoli.

In Italia, al momento, sono 34 i bambini che vivono in cella con le loro madri, ma sono più di centomila i minori che hanno un genitore detenuto. Dei 34 bambini «reclusi» senza colpa quelli che vivono propriamente in carcere sono 19 se la maggioranza di loro (9) si trova a Rebibbia. Gli altri 15 sono invece negli Icam che hanno caratteristiche strutturali diverse rispetto ai penitenziari e ispirate a quelle di una casa «normale».

In un mondo che, di «normale», non ha però nulla.

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