I "latinos" decisivi per la prima volta

Le minacce di Trump li hanno convinti a iscriversi al voto in massa

I "latinos" decisivi per la prima volta

Saranno finalmente decisivi i latinos nell'eleggere un presidente degli Stati Uniti? La domanda è lecita perché se è vero che molti analisti se la pongono da inizio anni Sessanta - quando ci fu il primo esodo cubano negli Usa post rivoluzione castrista - è ancor più vero che mai sino ad oggi l'elemento etnico di chi è arrivato dal sud del Rio Bravo o dai Caraibi ha inciso sulla scelta dell'inquilino alla Casa Bianca. Quest'anno, tuttavia, potrebbe andare diversamente per tre motivi. Il primo è dato dalla candidatura di un repubblicano atipico come Donald Trump che, sin dall'inizio delle primarie del Gop ha subito chiarito un paio di concetti che, di certo, non lo hanno fatto amare dai 56 milioni di ispanici che vivono negli Stati Uniti: «Se vinco costruirò un muro per separare gli Usa dal Messico» e, a stretto giro di posta, «deporterò gli 11 milioni di immigrati clandestini (quasi tutti latinos, nda)». Senza contare quando lo stesso Trump disse che i messicani erano in gran parte «stupratori, narcotrafficanti e ladri».

Un inizio disastroso per raccogliere consensi tra le tante Maria Dolores e Pedro che, invece, sino alle ultime presidenziali a votare non ci avevano mai pensato, pur avendone il diritto. Uno dei motivi per cui i latinos non sono mai stati elettoralmente decisivi, infatti, è proprio l'alto astensionismo tra di loro, oltre al fatto di essere da sempre divisi quasi al 50% tra filo-democratici (soprattutto a New York e in California) e filo-repubblicani (in Texas). L'effetto delle sparate di Trump ha però portato - e siamo al secondo motivo per cui il voto ispanico rischia di essere decisivo a un record nelle iscrizioni di latinos ai seggi. Gli ispanici iscritti a votare sono 27,3 milioni, un aumento di oltre 4 milioni rispetto al 2012, il che porta al 12% il loro peso sul totale degli aventi diritto: mai successo. Il terzo fattore è demografico perché, mentre votava in massa per il Gop la prima generazione di esuli cubani la comunità maggiore nella Florida, uno degli Stati storicamente decisivi per aggiudicarsi la Casa Bianca, con oltre 2 milioni di profughi dal «paradiso comunista» dell'Avana - chi è arrivato da Cuba negli ultimi anni, avendo ancora molti parenti sull'isola che lavorano per il regime castrista, è più favorevole alle politiche d'apertura di Obama. Stesso discorso per i portoricani, in fuga dal fallimento alla greca della loro isola e democratici in un rapporto di 3 a 1.

Per cercare di ovviare allo svantaggio l'ultimo sondaggio dà la Clinton al 58% tra i latinos - Trump ha dichiarato ieri che, se vince, «cambierà radicalmente le politiche democratiche verso le dittature di Cuba e Venezuela». Una mossa astuta, staremo a vedere se basterà a Trump per vincere.

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