Adesso, con Kabul finita in mano ai talebani, neppure i mercati possono più far finta di niente. L'Afghanistan diventa la variante non prevista, la mina inattesa posta sullo scacchiere geopolitico, un'altra spina nel fianco della ripresa economica. Ancora occupate, appena lunedì scorso, a prevedere come si muoverà la Federal Reserve, le Borse si sono messe ieri in modalità risk off. Nessuno azzarda, piuttosto si vende: col risultato di schiacciare i gli indici verso il basso in un moto collettivo che, partito dall'Oriente (Shanghai ha perso il 2%), si è propagato in Europa (-0,85% Milano), senza trovare resistenze neppure a Wall Street (-0,9% a un'ora dalla chiusura).
Al di là del dramma umanitario e della prevedibile regressione democratica e culturale verso cui si avvia il martoriato Paese dell'Asia meridionale, gli analisti appaiono preoccupati anche per un altro motivo: la possibile alleanza che la Cina potrebbe stringere con i mullah allo scopo di sfruttare le terre rare, il cui valore oscilla fra i 1.000 e i 3mila miliardi di dollari. Se formalizzata, l'intesa potrebbe invelenire i rapporti fra Pechino e Washington in un momento di estrema freddezza e di reciproche ritorsioni fra le due superpotenze.
Il Dragone si sta sbarazzando dei titoli del debito sovrano Usa come se fossero carta straccia, e fra maggio e giugno ha scaricato sul mercato T-Bond per un controvalore pari a 34 miliardi di dollari. Cifre che non si vedevano dal 2016 e che danno la misura di come Pechino si stia muovendo con la stessa grazia di un elefante in una cristalleria.
I ripetuti giri di vite dati al settore hi-tech sono un'altra cartina di tornasole dell'autoritarismo con cui l'ex Impero Celeste intende imbrigliare un'industria diventata troppo potente sotto il profilo economico e troppo pericolosa a causa della capacità di penetrazione sulla popolazione. Le ultime direttive emanate dal regolatore antitrust cinese mirano infatti a vietare la concorrenza sleale limitando al contempo l'uso dei dati degli utenti. La stretta, che ha fatto scivolare i prezzi di alcuni colossi Internet quotati a Hong Kong quali Alibaba, Tencent e JD.com, è arrivata dopo che il presidente della Sec (l'omologa Usa della Consob), Gary Gensler, ha messo in guardia contro i rischi legati agli investimenti in società cinesi. «Aziende basate in Cina che vogliono raccogliere capitali da investitori statunitensi - ha detto Gensler - dovrebbero dare maggiori informazioni necessarie per prendere decisioni». La mancanza di trasparenza esige quindi «una pausa» delle quotazioni di aziende cinesi a New York, in attesa che «questi gruppi dicano chiaramente in che compagnia stiamo investendo, che rivelino i rischi politici e regolatori».
Sullo sfondo restano poi il nuovo picco mondiale di infezioni da Covid-19 guidato dalla
variante Delta e il suo potenziale impatto su un'economia globale che ha perso slancio.Ieri un campanello d'allarme è risuonato negli Usa, dove le vendite al dettaglio sono scese in luglio dell'1,1%, al di sotto delle attese.
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