Il mondo di balocchi e profumi, e il mondo reale. Si direbbe due pianeti da convergenze parallele, destinati a non incrociarsi mai. Quando di mezzo c'è la finanza, non c'è virus che tenga, né il contagio capace di ammazzare i mercati. C'è solo un'onda emotiva e spesso effimera, qualche scalfittura sugli indici subito cicatrizzata. Anche se la pandemia cinese si diffonde, nonostante un Paese come la Cina sia tenuto sotto una gigantesca teca di vetro che impedisce i contatti con l'esterno e malgrado le ultimi previsioni economiche abbiano stimato un agghiacciante aumento del Pil per quest'anno di appena il 2%, le Borse sembrano giocare tutta un'altra partita. Il Nasdaq che flirta con nuovi record è l'indicatore che meglio esprime un mood rialzista incurante, per ora, di ciò che in prospettiva possa significare per la crescita globale lo sbadiglio da bradipo dell'ex Celeste Impero.
Questa noncuranza rispetto ad accadimenti tragici e dalle inevitabili ripercussioni economiche ha molteplici spiegazioni. Su tutte, la convinzione che le banche centrali interverranno, se sarà necessario, con una prontezza da far invidia al Settimo Cavalleggeri. Anche se le politiche monetarie lasche degli ultimi anni hanno finito per incoraggiare il moral hazard, il rischio è che si tratti di una certezza illusoria. In caso di recessione globale mancherebbero infatti le munizioni per combatterla, essendo i tassi d'interesse troppo bassi. Alcuni studi considerano necessario un taglio fra i 400 e i 500 punti come mezzo di contrasto alla crisi. Né la Fed, né la Bce e tutti i principali istituti di emissione hanno oggi tale margine di manovra. Le preoccupazioni espresse di recente da Jerome Powell e da Christine Lagarde tengono probabilmente conto di questo. E di ciò che può derivare da una crescita asfittica in Cina, per anni il motore di trasmissione della ricchezza a livello globale. Un'espansione del Pil del 2% è per il Dragone paragonabile a una contrazione del 5% per l'Italia, con l'aggravante che apre scenari in cui non si possono escludere tensioni sociali nelle aree più disagiate del Paese. Il piano contro la povertà varato a suo tempo dal presidente Xi Jinping è infatti incardinato su un'espansione annua di almeno il 6%, un valore distante anni luce dalle ultime previsioni.
Se ciò che si prospetta dovrebbe indurre almeno alla cautela, va comunque detto che, storicamente, virus ed epidemie hanno fatto il solletico ai mercati. Il copione è lo stesso di queste settimane: una reazione immediata violenta, poi la stabilizzazione dei listini e, alla fine, guadagni per tutti.
Il caso più eclatante riguarda la Sars, il cui bilancio fu fra il 2002 e il 2003 di 774 morti e 8.100 persone contagiate. Risultato: l'indice Standard&Poor's registrò un rialzo di quasi il 15% dopo la prima comparsa dell'infezione, al quale si sommò nell'anno successivo un aumento di oltre il 20%. Stessa scena in occasione dell'influenza aviaria del 2006, con progressi dell'11,6% nei primi sei mesi e del 18,3% nel giro di un anno, e della peste polmonare del 1994, quando lo S&P mise a segno un +26,3% in 12 mesi. Perfino un incubo sanitario come l'Ebola non riuscì a piegare Wall Street (+10,4% annuo).
Ma anche a livello globale la musica non cambia: nell'arco temporale che parte dalla comparsa dell'Hiv (1981) e arriva fino ai casi mortali di morbillo dello scorso anno, l'Msci World Index mette in mostra un guadagno medio dell'8,5%. Un mondo vaccinato contro le malattie. Stavolta, però, l'happy end non è garantito.
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