"I miei cinque giri del mondo. Il sesto lo farò in carrozzella"

Un intervento al cervello, la perdita della memoria: dopo mesi sulla sedia a rotelle torna a vivere con i poveri di 60 Paesi. Ora è in "viaggio solidale" negli orfanotrofi

"I miei cinque giri del mondo. Il sesto lo farò in carrozzella"

Se Andrea Caschetto si ficca in mente qualcosa, non c'è ostacolo che possa trattenerlo. L'anno scorso ha deciso che scrivere un libro (è già pronto, s'intitola Arcobaleno, scivolando per il mondo) poteva essere un ottimo sistema per raccogliere i fondi necessari a erigere un ospedale in Tanzania. Ma poi, da laureato in comunicazione, media e pubblicità allo Iulm di Milano, ha capito che avrebbe avuto bisogno come minimo di uno sponsor. Allora è partito da Ragusa, dove abita, per recarsi dal giornalaio di Roma che il suo conterraneo Fiorello ha trasformato nell' Edicola Fiore su Rai 2. Qui ha spiegato allo showman che voleva mettersi in contatto con Jovanotti e s'è fatto autografare una cartolina in cui Fiorello lanciava un accorato appello al cantautore: «Lorenzo, aiutiamo Andrea a volare». Non restava che spedire la cartolina a Jovanotti. Fidandosi poco delle Poste, Caschetto ha preferito recapitargliela di persona e ha quindi raggiunto l'Uruguay, dove il rapper romano si trovava per un tour. «L'ho aspettato dall'alba davanti al Trastienda club di Montevideo, dove si sarebbe esibito la sera. È arrivato alle 17. A stento sono riuscito a consegnargli la cartolina di Fiorello e a dirgli che ero giunto fin lì apposta perché appoggiasse la costruzione dell'ospedale in Tanzania. “Sì, sì”, mi ha liquidato. Più risentito. È stato come scoprire che Babbo Natale non esiste».

Non so se aiutare Andrea a volare, come raccomanda Fiorello, sia ciò di cui questo ragazzo ha più necessità. Forse sarebbe meglio che qualcuno lo trattenesse con i piedi per terra. È dall'età di 15 anni che volteggia nell'aria. Arrivato a 24, può dire d'aver soggiornato in una sessantina di Paesi, dagli Usa all'Australia, dalla Russia al Belize, dal Cile al Sudafrica, dagli Emirati arabi uniti al Giappone, dall'Honduras alla Nuova Zelanda. «Quante ore di volo? Boh, mai tenuto il conto, idem per i chilometri». A spanne, avrà compiuto complessivamente cinque volte il giro del mondo. Quando non è sugli aerei, usa tutti gli altri mezzi di locomozione concessi all'umanità: piedi, bici, auto, moto, treni, bus, navi, traghetti, camper, canoe, kayak, sci d'acqua, paracadute. Anche elefanti (in Thailandia) e cammelli (in Kenya).

Occhio però a non scambiarlo per un bighellone girovago. «I miei sono viaggi solidali: volo, vitto e alloggio in cambio di lavoro». La missione che il globe-trotter siciliano ha abbracciato - portare il sorriso fra i bambini del Terzo mondo - appare coerente con il master in cooperazione internazionale e sviluppo conseguito all'Università Cattolica dopo la laurea. Attualmente è collaboratore part-time di Sorriso per il Sudan, una Onlus di Casorezzo che dal 1999 assiste le popolazioni africane, soprattutto quelle del Darfur e del Sud Sudan, dove carestie, malattie e guerriglie sono endemiche. «A Milano sul tram e per strada incontro soltanto gente imbronciata, che smanetta con cellulari e cuffie. In Africa tutti mi sorridono. È fantastico: sei sempre di buonumore».

Nonostante sia rimasto vittima di aggressioni in Thailandia e in Sudafrica (ha una cicatrice sulla mano destra), a Caschetto restano da compiere almeno altri due giri del mondo: uno in sedia a rotelle e uno in tuta, di corsa, come Forrest Gump. La motivazione del secondo è poetica - «il viaggio è la palestra della mente» - e al tempo stesso concreta: «Mi sono ripromesso d'imparare altre due lingue straniere, oltre all'inglese e allo spagnolo che già parlo». Impresa non facile, per uno come lui: Andrea ha già vissuto davvero in carrozzella, per due lunghi mesi, a seguito di un intervento chirurgico subìto nel 2005 all'istituto neurologico Carlo Besta di Milano. «Mi hanno rimosso una malformazione nell'emisfero sinistro del cervello. Mi ero accorto che qualcosa non andava dalle frequenti fantosmie, allucinazioni olfattive: percepivo odori inesistenti». L'operazione ha avuto uno strascico: la perdita della memoria a breve termine, anche se con il tempo è riuscito a fare notevoli progressi seguendo le tecniche insegnate da Gianni Golfera, meglio noto come «l'uomo che non dimentica mai niente». «Mi restano impressi i volti, ma non i nomi. Per ricordarmi che lei è Stefano, ho dovuto associarla mentalmente a un mio compagno delle scuole medie».

Brutta faccenda, quando si viaggia.

«Non meno di quando si studia. Durante le interrogazioni dovevo aiutarmi con le mappe concettuali».

Mi faccia un esempio.

«Per parlare del conduttore elettrico, mi presentavo agli esami con una foto di Gerry Scotti e una di Harry Potter che lancia saette con la sua bacchetta magica. Ah, come invidio la memoria dei bambini di Mwanza, in Tanzania! La mattina gli ho insegnato I due liocorni e alla sera già la cantavano in italiano: “Ci son due coccodrilli e un orangotango...”».

Com'è riuscito a laurearsi?

«Con tanta fatica. Il titolo della tesi era Tecniche di memoria: la creatività. Per dimostrare che le cose fuori dal normale restano impresse nella mente, mi sono presentato vestito da Luigi XVI, con parrucca e abito di scena del teatro Politeama di Palermo. In pieno luglio. Un caldo bestiale. Il presidente della commissione era allibito. Però allo Iulm ancora si ricordano di me. È stata una dimostrazione pratica della tesi che ho discusso».

Vediamo se riesco a capire questa storia dei «viaggi solidali».

«Il viaggio è la mia busta paga. In cambio faccio il manovale, l'insegnante, il teatrante e l'animatore con i bimbi. Li diverto truccato da clown, li aiuto a costruire giocattoli con il materiale recuperato dalla raccolta differenziata dei rifiuti».

Il posto più lontano dov'è andato?

«Con Terre e libertà, un progetto di volontariato internazionale dell'Ipsia, ho risalito il Rio delle Amazzoni e il Rio Urubu, partendo da Parintins, fino a raggiungere una tribù di 100 persone. Sono andato come cavia. Per le leggi federali brasiliane, gli indios di lì sono considerati incapaci d'intendere e di volere. Se ti ammazzano, i giudici li assolvono. Al mattino i bambini venivano a svegliarmi nell'amaca perché li facessi giocare. Sarei rimasto lì per tutta la vita».

Da dove nasce questa predilezione per l'infanzia?

«Forse dal fatto che sono figlio unico, nato da una ragazza madre di Modica, un'insegnante di educazione fisica, abbandonata dall'uomo che l'aveva messa incinta. Non ho mai conosciuto mio padre, né m'interessa sapere chi sia».

Non teme di passare per pedofilo?

«Sono il terrore dei pedofili, gli do la caccia. Dipendesse da me, li punirei con pene pesantissime. Girando il mondo, mi sono fatto un'idea precisa: un sacco di personaggi squallidi campano di volontariato all'estero per mascherare le loro vere inclinazioni. Non parliamo poi dei giri allucinanti di soldi nelle Onlus e nelle Ong, che con le offerte della gente viaggiano in prima classe e soggiornano in hotel a cinque stelle».

Come fa a dare la caccia ai pedofili?

«Sono andato a mie spese fino in un remoto paesino del Canada, a 20 ore di autobus da Vancouver, per raccogliere la testimonianza di una volontaria reduce dalla Tanzania che sosteneva d'aver individuato un medico pedofilo, un occidentale. Tornato in Italia, ho interessato la questura di Ragusa, il tribunale di Milano e un giornalista delle Iene, ma non è successo nulla. Del resto, non c'erano prove. Una cosa è certa: il 50 per cento dei bambini provenienti da orfanotrofi che ho avvicinato all'estero erano stati vittime di abusi. Io stesso sono diventato omofobo per colpa di un pedofilo».

Si spieghi meglio.

«Dall'età di 8 anni sono sempre andato nelle colonie estive per i figli dei dipendenti Inpdap: da Fai della Paganella a Monteluco di Spoleto. In Umbria c'era un animatore sulla quarantina che a volte mi accompagnava in ospedale perché erano cominciati a venirmi i primi attacchi di mal di testa. Avevo 12 anni. In seguito mi scrisse dicendo che s'era innamorato di me, che piangeva tutte le notti nel letto in cui avevo dormito io. Pretendeva che gli mandassi mie foto da nudo, cosa che mi sono ben guardato dal fare».

Però intanto era diventato omofobo.

«Oggi non più. Tutto s'è risolto mentre ero al Nord per studiare. In Sicilia gay non ce n'erano, si nascondevano. Invece Milano ne era piena. Li ho accettati».

Resta il dramma degli orfani.

«Nei brefotrofi statali del Terzo mondo sono considerati bestiame. Mangiano e dormono, nient'altro. A Meru, in Kenya, vedendomi arrivare, sono scappati via: era la prima volta che entravano in contatto con l'uomo bianco. Per loro è tutto nuovo, si divertono con niente. Mica come i nostri ragazzini viziatissimi».

Sarebbe stato un buon missionario.

«Ero cattolico, poi ho abbracciato il buddismo. Ora sono ateo».

La considera un'evoluzione?

«Sì, contro la paura. Preferisco non credere e non fare niente di male, piuttosto che credere in Dio, combinarne di tutti i colori e poi chiedergli perdono».

Che cosa la turbava da cattolico?

«I preti. L'istinto sessuale è radicato in ogni uomo. È impossibile che solo loro riescano a sublimarlo. Gli scandali di pedofilia nella Chiesa ne sono la prova».

Nel buddismo non accade?

«Mah, più che altro è una filosofia. Però mi sono stufato presto dello yoga. È meno faticoso recitare i Paternoster».

Da ateo è felice?

«Non mi chiedo che cosa c'è dopo la morte. La mia religione sono i viaggi. Magari un giorno cambio idea e mi faccio prete. Per principio non escludo nulla».

Sbaglio oppure non esistono Onlus di volontariato fondate da atei?

«No, no, ci sono. L'Ipsia, per esempio».

Qualcosa tipo Medici senzadio senza frontiere?

«Ora che mi ci fa pensare anche l'Ipsia è espressione della Chiesa, ha la croce nel logo. La sigla significa Istituto pace sviluppo innovazione Acli» .

Non pensa mai a quelli che non possono permettersi di viaggiare?

«Ci penso sì. Ma si viaggia anche senza spendere soldi. Non sono ricco. Trovo ospitalità su Couchsurfing.org. Per il giro del mondo in sedia a rotelle, che durerà 300 giorni, ho calcolato 1.000 euro al mese, più i voli. Pareva che mi finanziasse Fanpage.it, un social network di Napoli. L'idea era piaciuta molto. Poi ci hanno ripensato. Pensa che Il Giornale mi possa sponsorizzare?».

Se lo tolga dalla testa.

«Vabbè, pazienza. Ho già avuto la fortuna di superare l'intervento chirurgico. Al risveglio mi sono detto: cavolo, com'è bella la vita! Purtroppo in Occidente vedo un sacco di gente disperata. Lo sa che dove non c'è la televisione non esiste neppure la depressione? Prenda le donne che hanno problemi di peso: in Italia sono tutte infelici perché lo stereotipo della bellezza tv le vuole filiformi. Invece una donna grassa in Africa è molto apprezzata, è un simbolo di fertilità».

Ha provato a cercarsi un posto di lavoro come tutti, orario 8-12 e 15-18?

«Sì. Ma ho anche 24 anni...».

E che lavoro vorrebbe fare?

«Un lavoro creativo, da copywriter. Forse andrò a impararlo alla Media design school di Auckland, in Nuova Zelanda. È la migliore che ci sia al mondo».

Una ragazza ce l'ha?

«Ce l'avevo, Giulia. È durata un paio d'anni. È brutto innamorarsi e poi doversi salutare perché parti. Mi capita spesso. Adesso Lupita mi aspetta in Messico e Paolina, una polacca, a Dubai».

Delle migliaia di persone che ha incontrato, quale resta più impressa nella sua memoria?

«Alessandro. Era un bimbo di 5 anni ricoverato all'ospedale Gaslini di Genova per un tumore. L'ho conosciuto attraverso un'amica psicoterapeuta, Samuela, che gli raccontava di me e delle mie avventure. Alessandro disse alla madre: “Mamma, mamma, ma allora Superman esiste veramente!”. Conservo ancora il disegno che volle regalarmi: un edificio alto, l'ospedale; un albero accanto, la vita; quattro bimbi di colore e il quinto, bianco, senza capelli. Un autoritratto. Ci mise due giorni, per farlo. Morì 48 ore dopo».

Nel 2002 intervistai un suo conterraneo, Roberto Alajmo. Aveva pubblicato L'Enciclopedia dei matti italiani . Forse lei avrebbe potuto figurarci, se avesse avuto 10 anni di più.

«Gli uomini non sono che punti di una retta senza inizio e senza fine. Il foglio di carta è il mondo. Tutte le persone sono un po' folli. Però prevale l'apparenza: dissimulano, così non capisci mai chi hai davanti veramente. Io almeno non mi nascondo». (Il tempo di scrivere l'intervista e ho ricevuto da Caschetto questa mail: «Ho iniziato il giro del mondo fra gli orfanotrofi. Saluti dallo Sri Lanka»).

(744. Continua)

stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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