
Da una parte c'è la Procura di Palermo che ricorre contro l'assoluzione di Salvini nel processo Open Arms direttamente in Cassazione, senza passare dall'Appello, convinta che i giudici abbiano scritto una sentenza "viziata". Dall'altra c'è la difesa del ministro che ricorda come il verdetto sia "solido", anche nelle argomentazioni di diritto. In attesa di capire l'esito del ricorso, che se accolto potrebbe portare di nuovo il ministro alla sbarra, restano le motivazioni con cui i magistrati hanno assolto Salvini, perché "il fatto non sussiste", dalle accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio nella vicenda dell'agosto del 2019, quando negò il porto di sbarco alla ong spagnola Open Arms, che aveva a bordo 177 migranti, rimasti per giorni in attesa di scendere.
I pm avevano chiesto sei anni di reclusione, perché il ministro Salvini avrebbe privato i naufraghi della libertà personale. Il cardine del ragionamento dei giudici di Palermo è invece che l'Italia non aveva alcun obbligo di concedere il porto a Open Arms, perché le tre operazioni con cui la ong aveva soccorso i migranti si erano verificate in acque libiche e maltesi. Non italiane. E in nessuna delle tre l'Italia era stata il cosiddetto "primo contatto" della ong, che si era rivolta in primis a Libia e Malta, informando il proprio Paese di bandiera, la Spagna. La Valletta aveva negato il porto, e si era detta disponibile ad accogliere solo 39 migranti. Open Arms aveva rifiutato, nel timore di disordini a bordo.
Per i giudici l'Italia non aveva alcuna responsabilità nemmeno come Stato di "primo contatto". La Spagna invece sì, visto che era entrata per prima in contatto con la ong, e "poteva considerarsi appropriata anche un porto sicuro essendo le sue coste non troppo distanti dalle zone dove c'erano stati i salvataggi". Secondo i magistrati appare "non dubitabile" che "fosse tenuta a tutelare i diritti delle persone a bordo".
Tanto che di fronte al diniego di Malta, Madrid, "non potendo più disconoscere la propria competenza", aveva concesso il porto. E quando Open Arms lo aveva rifiutato perché troppo lontana, il governo spagnolo si era offerto di mandare a prendere i migranti con una nave della Marina. Ma la ong chiedeva di sbarcare a Lampedusa, perché più vicina. Un comportamento stigmatizzato dai giudici: "Il comandante faceva continuo riferimento al concetto di "porto sicuro più vicino" ripetuto come un mantra per giustificare la scelta di attendere a oltranza una risposta positiva dell'Italia, ma secondo il diritto internazionale "non è in base alla vicinanza del porto che si imputano le competenze ai singoli Stati in materia di soccorso in mare". Non solo. "Il comandante si è trattenuto per giorni al largo delle coste italiane anziché esperire altre valide soluzioni disponibili". Anche lo sbarco dei minori a bordo, un altro dei punti su cui avevano insistito i pm, per i giudici è stato garantito "in conformità con i tempi richiesti dalle normative".
In sintesi per le toghe di Palermo l'Italia "avrebbe potuto concedere" il porto "anche solo per ragioni squisitamente umanitarie", ma "non aveva l'obbligo" di farlo. Quanto alle norme che secondo l'accusa sancirebbero l'obbligo dell'Italia di intervenire di fronte all'inerzia degli altri Stati, queste sarebbero da considerarsi come meri "principi di solidarietà" che "per quanto sicuramente apprezzabili in chiave umanitaria", non sono adeguatamente "traslati" nelle convenzioni internazionali.
Sarebbero insomma da intendersi più come una "raccomandazione". Anche per questo nella sentenza sollecitano una modifica "non più rinviabile" delle regole e di una cornice normativa poco chiara, "inadeguata". Da riscrivere.