Una parola chiara. Senza se e senza ma. La condanna dei massacri che giorno dopo giorno insanguinano l'Occidente. Tocca al mondo islamico prendere una volta per tutte le distanze dai terroristi che seminano la morte. È inutile illudersi: solo in questo modo, solo prosciugando l'acqua in cui nuotano i pesci del radicalismo, il fenomeno verrà arginato. Perderà progressivamente il fascino che esercita su masse minoritarie ma non trascurabili di fedeli, soprattutto quei macellai si troveranno isolati. Spalle al muro. Senza quel retroterra che alimenta le più feroci illusioni.
Qualcosa di simile è accaduto nel nostro Paese negli anni Settanta: era l'epoca delle Brigate rosse e migliaia di giovani si votavano alla clandestinità, disposti ad immolarsi per combattere lo Stato, sapevano di raccogliere consensi e simpatie anche fuori dalla cerchia dei militanti. A sinistra, almeno all'inizio, qualcuno li considerava fascisti mascherati; altri, i più, li definivano compagni che sbagliano. Rossana Rossanda scrutava quelle facce e più le osservava più si rendeva conto dell'ovvio: quei volti appartenevano all'album di famiglia.
Fu l'inizio della fine: la coperta dell'ideologia non poteva giustificare gambizzazioni, omicidi, rapine. La cosiddetta avanguardia rivoluzionaria smarrì il contatto con la realtà e soprattutto con il popolo che pretendeva di rappresentare. Il resto lo fecero i pentiti e i reparti speciali del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
I paragoni sono azzardati e la storia non si ripete. Però i meccanismi sono simili: tendiamo l'orecchio e aspettiamo. L'Islam italiano, l'Islam tedesco, l'Islam francese prendano posizione. È ora di uscire allo scoperto e tagliare quel cordone ombelicale che molti, troppi esitano a recidere.
Silenzi. Ambiguità. Balbettii. «C'è molto silenzio. Molte complicità. Chi dovrebbe parlare tace», ha spiegato al Giornale dopo la strage di Dacca Paolo Branca, docente di lingua araba e islamistica all'Università Cattolica di Milano - c'è un problema legato alla modernità, una difficoltà nel confronto con il pensiero contemporaneo, un rapporto difficile con le filosofie e gli stili di vita elaborati dalle nostre società». Cosi i critici hanno gioco facile nel sostenere che l'Islam moderato è un'invenzione della nostra mentalità liberal, anzi buonista. Oltretutto, si fa una gran confusione fra Islam moderato e i cosiddetti Paesi moderati, ritenuti tali perché alleati degli americani o dell'Europa nello scacchiere della geopolitica. Ma poi, se si va a vedere, per esempio in Arabia Saudita, si scopre che la moderazione è solo fumo nei nostri occhi distratti. E le donne, per aprire il capitolo più facile, vivono l'eclissi dei loro diritti.
No, servono facce, i volti dei leader, delle autorità spirituali, dei fedeli: gli stessi che fra Milano e Parigi hanno cominciato timidamente a manifestare nei mesi scorsi per difendere la nostra libertà che è anche la loro.
Il sindaco di Londra Sadiq Khan, figlio di immigrati pachistani musulmani, ha compiuto un gesto di rottura quando all'inizio del suo mandato è andato a visitare la sinagoga. Ora, dopo l'attentato di Westminster, sembra aver indossato abiti vecchi e poco consoni alla capitale dei nostri valori: il suo silenzio è apparso ambiguo, connivente, complice.
Forse era solo un equivoco, poi il primo cittadino ha parlato e si è corretto. Aspettiamo, come è già successo, il ritorno degli imam nelle chiese: una preghiera solenne e una stretta di mano pubblica sono oro. Monete di pace. E caparra di una convivenza finalmente realizzata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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