I negozianti sono allo stremo "In fumo altri 30 miliardi"

Confesercenti conta i danni del lockdown prolungato a maggio. Confapi: "Riaprire insieme al resto della Ue"

I negozianti sono allo stremo "In fumo altri 30 miliardi"

La quarantena che ci sottrae i ponti di primavera costerà ai negozi 30 miliardi di euro. È il conto fatto da Confesercenti, secondo cui «a fine aprile, la spesa delle famiglie raggiungerà il punto di massima contrazione, con un calo del 30 per cento su base mensile». Sui primi quattro mesi dell'anno, la stima dell'associazione fa salire la perdita a 45 miliardi di euro. Cifre che, secondo Confesercenti, rischiano di collocare le scelte del governo nella categoria della catastrofe economia, se non ci sarà un'accelerazione delle riaperture, adottando misure di sicurezza di cui negozianti sono pronti a farsi carico.

La narrazione dello «stare a casa» come unica possibilità di lotta al virus mostra i suoi limiti, soprattutto a confronto con politiche più flessibili e coordinate di altri Paesi. Le proteste dal mondo imprenditoriale sono ormai un coro: le posizioni di Confesercenti si rispecchiano in quelle di altre associazioni datoriali, da Confapi a Unimpresa. Confapi presenta al governo un piano per la ripartenza che centra il punto chiave: «È fondamentale che l'Italia, sulle tempistiche per la riapertura, mantenga un allineamento con i principali Paesi europei, in quanto in un'economia interconnessa, un disallineamento genererebbe condizioni di concorrenza differenziate che darebbero un danno strutturale al sistema produttivo». L'associazione presieduta da Maurizio Casasco chiede soprattutto tempi rapidi per la liquidità e meno burocrazia per chi investe. «Un'impresa aderente alla Confapi, con un poderoso piano industriale per un investimento superiore a 100 milioni di euro con risorse proprie, che genererebbe un forte impatto sul Pil locale e in termini occupazionali, per effetto della burocrazia sui diversi livelli comunali, provinciali, regionali, nazionali, ha una proiezione di avvio dell'investimento su tempi oltre i dodici mesi».

Dopo tre decreti, una relazione illustrativa e una circolare dell'Abi, è incredibile che la macchina ideata dal governo per portare liquidità alle imprese sia ancora paralizzata. C'è un problema di operatività delle banche: mentre in altri Paesi europei si procede anche on line sulla scorta di istruzioni chiare, da noi c'è chi mercoledì scorso ha telefonato in banca si è sentito dare un appuntamento per martedì della settimana prossima. Secondo un'analisi del Centro studi Unimpresa, la macchina organizzativa degli istituti di credito per i prestiti alle imprese sarà davvero operativa solo a partire dal 20 aprile. La pratica dovrebbe rivelarsi particolarmente veloce per i mini-prestiti, quelli fino a 25.000 euro. Ma, oltre questa soglia - sia per i finanziamenti alle Pmi da 800.000 euro sostenuti dal Fondo centrale di garanzia, sia quelli di importo maggiore, accompagnati dalle agevolazioni Sace - potrebbero trascorrere diverse settimane: «Mancano ancora il via libera dell'Antitrust Ue che deve sciogliere la riserva per eventuali aiuti di Stato illegittimi, il regolamento Sace per definire le graduatorie sulle garanzie, le disposizioni interne ai singoli istituti di credito».

E mentre il ministro Gualtieri torna a promettere i soldi alle imprese per fine mese e l'azzurro Antonio Tajani tenta di scuotere il governo proponendo «un grande piano casa per rimettere in moto l'edilizia», c'è anche

chi, come Raffaele Trano (M5s), presidente della Commissione finanze della Camera, tenta di scaricare le colpe su presunti «ritardi della Ue». Peccato che altri Stati dell'Unione, vedi Germania e Francia, stiano già pagando.

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