Coronavirus

I numeri della paura. Un milione di casi e 50mila morti. Metà mondo a casa

È l'ultimo bilancio del virus, fra errori di valutazione e interventi in ritardo L'Europa piange più morti. Ma chi vive sotto un regime aspetta la verità

I numeri della paura. Un milione di casi e 50mila morti. Metà mondo a casa

Un'altra soglia psicologica superata. Un'altra barriera che cade e angoscia. I casi di coronavirus sono un milione nel mondo e i decessi 50mila, con tutto il carico di storie personali e sofferenza che ogni morte racchiude in sé. Metà della popolazione mondiale vive vite sospese. Quasi quattro miliardi di persone sono costrette a stare a casa. Una quarantena di massa che non si era mai vista nella storia dell'umanità. È la prigione dorata a cui ci costringe il coronavirus e che i cittadini del mondo hanno fin qui accettato pur di risparmiare il più alto numero di esseri umani alle corse disperate in ospedale e alle terapie intensive.

Un milione è il numero della paura, un mix di ansia e insicurezza sul futuro proprio e dei propri cari, sulle ricadute sanitarie ed economiche del virus. Un milione è il numero di uno sgomento globale a cui non si assisteva dai tempi delle due guerre mondiali. E a questa paura si aggiunge la prospettiva che nulla potrà tornare alla completa normalità prima del prossimo autunno. Non c'è ancora Paese capace di ragionare con certezza su un futuro senza divieti, che poi sarebbe un ritorno al passato, già entro l'estate. Molti scienziati sono ormai convinti che, se tutto andrà bene, si potrà derogare al distanziamento sociale solo a ottobre. E per molti mesi ancora dovremo imporci di evitare contatti, abbracci e baci, sempre che le curve dei contagi imboccheranno una traiettoria discendente al più presto.

Così diversi e così uguali, i Paesi si scoprono tutti fragili di fronte al virus, ma ognuno a modo proprio. Ciascuno con le sue debolezze. In Cina sono stati e sono ancora i silenzi colpevoli e la censura il punto debole, per un Paese che ha pagato un prezzo altissimo come primo incubatore e si trova ora la sfida della seconda fase, quella di un possibile ritorno dell'epidemia. Sul campo Pechino lascia 3200 morti e oltre 82mila contagiati. Ma il sospetto è che i numeri siano ben più alti di quanto riveli il regime. Perché alla fine, anche di fronte al virus che non guarda in faccia nessuno, le differenze di politica e approccio contano. Così l'Iran piange 3200 morti ma si sospetta di fosse comuni dove i cadaveri sono spariti ammassati. In India si finisce frustati per strada, costretti a rotolarsi per terra sotto gli occhi di un agente se si viola la quarantena e nelle Filippine - come ha annunciato in queste ore il presidente dalle maniere forti, Rodrigo Duterte - la polizia sarà autorizzata a sparare sugli indisciplinati.

Il prezzo più alto, in termini di contagi, lo paga in queste ore il gigante del mondo, gli Stati Uniti, con quasi 230mila casi (e 5.400 morti), segno che il virus non guarda alla potenza, semmai alla lucidità dei Paesi nel non sottovalutarlo, all'efficienza nel contrastare prima possibile l'epidemia e alla capacità di iniettare risorse nel sistema sanitario. Ma il dramma più pesante, fino a qui, lo ha vissuto l'Europa e i Paesi mediterranei, Spagna e Italia, rispettivamente con 10mila e 14mila morti, dove è possibile che a contribuire alla diffusione del contagio sia stata l'anima stessa di italiani e spagnoli, quella propensione al contatto fisico che rende così naturale scambiarsi abbracci ed effusioni. Segue la Francia, terzo Paese più colpito al mondo con 4mila morti, e il sospetto che si sarebbe dovuto anche qui prevenire meglio, magari evitando il primo turno di un'elezione amministrativa a cui sono stati chiamati 48 milioni di francesi e la cui seconda tappa oggi Macron pensa di far slittare ancora, probabilmente a ottobre. Tiene la Germania, nonostante i quasi mille morti, ma forte di un sistema sanitario che può garantire 28mila posti in terapia intensiva mentre Spagna, Italia e Francia viaggiano sotto i diecimila. La battaglia potrebbe essere lunga in attesa di un vaccino. E il mondo, tappato in casa, aspetta un futuro immune e un domani protetto.

Chiuso in un presente di isolamento e angoscia.

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