I paladini della democrazia non gridano più al regime

Il governo riscrive la Carta a colpi di maggioranza: dove sono andati a finire giuristi, popoli viola e i giornali che accusavano Berlusconi di autoritarismo?

I paladini della democrazia non gridano più al regime

Trecentootto. Appuntatevi questa cifra. Furono i voti con cui il governo di Silvio Berlusconi l'8 novembre 2011 ottenne il via libera al rendiconto di bilancio alla Camera. Un pugno di voti sotto quota 316, che è la metà più uno dell'aula di Montecitorio. Quel giorno tutti fecero notare al premier che la sua maggioranza non c'era più. E il più alacre suggeritore fu il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in un colloquio che le cronache di allora cronometrarono in 45 minuti gli disse che forse non era il caso di andare avanti. Berlusconi scalpitò, poi si arrese annunciando: «Mi dimetto dopo l'ok alla legge di Stabilità». Cosa che fece pochi giorni dopo. Per inciso, la manovra di bilancio passò con 380 sì. Ma il destino del Berlusconi-IV era segnato.

Balzo in avanti di oltre tre anni. Ieri. Il governo Renzi-I blinda legge di Riforma del Senato e del titolo V della Costituzione sfoltendo gli emendamenti e votando gli articoli uno a uno con l'opposizione a guardare Sanremo e i numeri sempre sotto quota 300. Pensate forse che si parli di dimissioni del governo? Di maggioranza evaporata? Le anime belle si radunano forse davanti ai palazzi del potere per evocare il golpe? Ma certo, no. Qualche mugugno, un pugno di titoli critici da parte dei pochi giornali di opposizione («Ave Cesare», titola il manifesto , glorioso foglio ormai semiclandestino) e via andare.

Certo, le vicende hanno analogie ma anche tante differenze. Però non sentiamo echeggiare quel trisillabo sempre evocato durante le stagioni del berlusconismo di governo e oggi finito nel dizionario delle parole scomparse: regime.

Sarebbe interessante, ad esempio, sapere come definirebbero il bullismo parlamentare di Matteo Renzi i «girotondini» che nel 2002 scendevano in piazza un sabato sì e uno no in difesa dei principi di democrazia e di legalità. Circondavano tenendosi per mano una volta un palazzo di giustizia, un'altra volta una sede Rai, poi si fecero spavaldi e iniziarono a riempire palazzetti dello sport e capienti piazze. Contestavano la legge di riforma del falso in bilancio, la presunta minaccia all'indipendenza della tv pubblica. Tra di loro c'erano professori (Francesco Pancho Pardi), storici (Paul Ginsborg), giornalisti di sinistra (Furio Colombo), registi (Nanni Moretti), cantanti (Fiorella Mannoia), intellettuali (Paolo Flores d'Arcais), esponenti della sempre utile società civile. E il loro nemico giurato era il premier Silvio Berlusconi (era il Berlusconi-bis), e poi sì, anche la sinistra (all'epoca i brand erano Ds e Ulivo) ma solo perché non combatteva abbastanza il Cavaliere. Ora tutta questa gente ha cambiato gioco. Niente più girotondi, meglio nascondino.

E che dire del Popolo Viola? Un altro movimento politico liquido e passeggero, apartitico ma molto antiberlusconiano, essendo nato nel dicembre 2009 (c'era già il Berlusconi-quater) con il No Berlusconi Day. I violetti sostenevano fondamentalmente che il Cavaliere attentasse per suoi interessi alla Costituzione. Ora che Renzi la Carta fondamentale la tratta come carta igienica, modificandola praticamente da solo, dove sono costoro?

Brillano per la loro assenza anche i costituzionalisti, che hanno perso la favella. Eugenio Scalfari, che nel marzo 2011 si faceva videointervistare per spiegare perché bisognasse scendere in piazza contro lo stravolgimento della Costituzione da parte di Berlusconi (era l'epoca della riforme di giustizia e scuola).

E anche il Fatto Quotidiano , che il 10 giugno 2010 titolava «Carta straccia», commentando quella che per Padellaro e Travaglio era l'«aggressione di Berlusconi contro chi si frappone al suo disegno autoritario». Oggi il disegno autoritario di Renzi è evidentemente molto meno preoccupante e il quotidiano dalla testata rossa ha perso le unghie. La carta non è straccia per tutti.

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