I grandi visionari spesso inciampano nelle piccole cose quotidiane, il pensiero alato che alla fine cozza contro le minuzie pratiche. Nella politica italiana sta diventando un caso da manuale l'esperienza di Enrico Letta alla guida del Pd, costellata da polemiche e uscite maldestre. L'ex presidente del Consiglio ha costruito con una immagine rinnovata il suo ritorno al partito che aveva lasciato nel 2015 con le clamorose dimissioni da deputato e il mancato rinnovo della tessera. Scelta di vita o calcolo che fosse, il suo rientro in patria è stato tratteggiato come l'impegno civile di un professore internazionale di scienze politiche sacrificatosi per il bene del primo partito della sinistra che l'ha richiamato in servizio.
Forse Letta, negli ultimi anni trascorsi tra Parigi, Sidney e San Diego, si era illuso che i dem crescessero con il suo tratto garbato e il riformismo moderato che l'avevano contraddistinto fin da ragazzo, quando a 32 anni girava già con il loden verde e segnava il record del più giovane ministro della Repubblica. Quando è ritornato al Nazareno, si è guardato intorno e non ha più rivisto i suoi precedessori: Veltroni diviso tra il giornalismo e il cinema, Bersani transfuga a Leu, Renzi nuovo leader di Italia Viva. E in un accesso di nuovismo contraddittorio si è snaturato in un leader di sinistra radicale, portato alla contrapposizione. Aveva i pieni poteri per scegliere i candidati sindaci a Roma, Torino e Bologna, ma si è infilato in un pantano di beghe fatte di gazebo semivuoti e facsimili di schede sbianchettate dal partito per trainare il candidato ufficiale Gualtieri. L'ex enfant prodige del Palazzo si è persino impelagato nella diatriba sulla trasmissione Rai Report, arrivando a criticare una sentenza del Tar scambiata come uno sfregio alla libertà di stampa. L'ha corretto una giurista di sinistra, Ada Lucia De Cesaris, ex vicesindaco di Milano, ricordandogli che «l'accesso agli atti è un diritto sancito dalla legge».
Qualcosa è cambiato nell'ex giovane Enrico, non solo per il passaggio
dal cappotto degli uomini maturi alla felpa di Open Arms. Una volta dribblava le piccole diatribe, oggi ci finisce regolarmente dentro uscendone malconcio. Solo che stavolta non c'è più l'alibi della «brutalità» di Renzi.
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