I ristori valgono il 12% del fatturato perso Il fardello delle tasse

I 43 miliardi dei vari decreti non coprono i 350 miliardi di minori ricavi dalle imprese

I ristori valgono il 12% del fatturato perso Il fardello delle tasse

I 18 miliardi di nuovi ristori a imprese e partite Iva che dovrebbero essere previsti dal decreto Sostegni bis appaiono una cifra consistente, ma rispetto al crollo del fatturato registrato a causa della pandemia si tratta di una goccia nel mare. Nel 2020 il crollo del fatturato del sistema-Italia, ricorda la Cgia di Mestre, è stato di 350 miliardi di euro.

Se si sommano tutti gli aiuti concessi tramite deficit alle aziende del nostro Paese, si raggiunge la cifra di circa 25 miliardi di euro. Di questi oltre 15 miliardi sono stati distribuiti dai decreti del governo Conte elaborati dal ministro Roberto Gualtieri (Cura Italia, Rilancia e i vari dl Ristori), mentre la parte restante proviene dal primo decreto sostegni che aveva una dotazione di 11 miliardi per gli indennizzi ma che, secondo quanto dichiarato dal ministro delle Politiche agricole Patuanelli, ha registrato un «tiraggio» di poco inferiore ai 9,5 miliardi. Ecco perché si è deciso di utilizzare i residui, aggiungendoli ad altre disponibilità scovate nelle pieghe di bilancio, per il Sostegni bis portando gli indennizzi da 14 a 18 miliardi. Insomma, i 43 miliardi complessi mobilitati dal governo rappresentano solo il 12,2% di quanto perso in termini di ricavi dalle imprese.

La Cgia di Mestre, nella consueta analisi del sabato, ha ricordato come il presidente del Consiglio, Mario Draghi, abbia dichiarato che le misure di sostegno all'economia dovrebbero proseguire fino alla fine dell'anno. Ma il problema è effettivamente un altro: quale utilizzo effettivo possono avere questi sostegni a fondo perduto? Il rischio concreto è che in qualche modo possano servire a pagare le tasse che sono state rinviate. Ad esempio, nel dl Sostegni lo stralcio delle mini-cartelle fino a 5mila euro è costato 2 miliardi per il biennio 2021-2022.

Per il ministro dell'Economia, Daniele Franco, ci sono due opzioni. La prima è accelerare sul versante della riforma fiscale e disegnare quanto prima un sistema più «amichevole» nei confronti delle imprese già a partire dal prossimo anno, sostenendo nel frattempo attraverso gli indennizzi il cambio di paradigma. Se si pensa di riformare l'Irpef riducendone gli scaglioni di aliquota, allo stesso modo si può pensare di abbassare l'aliquota Ires attualmente al 24 per cento. Oppure, come vorrebbe Forza Italia, si può discutere dell'utilità dell'Irap progettandone l'abolizione.

Esiste, poi, un'altra strada che è quella suggerita dalla Cgia di Mestre: tutelare nel breve termine le piccole e medie imprese. «È necessario imporre l'azzeramento delle tasse erariali, consentendo alle partite Iva e alle pmi di risparmiare quest'anno attorno 28 miliardi di euro», evidenziano gli artigiani mestrini ipotizzando di eliminare quest'anno Irpef, Ires e Imu sui capannoni per le aziende con un fatturato 2019 al di sotto del milione di euro.

Anche quest'ultima proposta è interessante considerato che la riforma fiscale, da una parte, non costituisce un pilastro del Pnrr a differenza di quella della pa e della giustizia, mentre, dall'altro lato, rappresenta uno dei motivi di frizione tra i componenti della maggioranza, divisa tra un centrodestra desideroso di abbassare la pressione fiscale e un

centrosinistra che invece intende privilegiare la funzione redistributiva della tassazione. Dimenticando, come accade di solito, è che il sistema delle imprese il primo motore dell'economia e della creazione di posti di lavoro.

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