di È l'aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende (B. Mussolini). Si gioca sul filo del sacro e del profano la frattura profonda che oggi divide Orazi e Curiazi, Remi e Romoli, Capuleti e Montecchi, York e Lancaster. Detto più in soldoni, ché poi di questo si tratta: le due sinistre all'italiana. Amatriciana col sugo rosso fuoco o bianca, che a Roma si definisce «gricia»; però la sostanza non sta nel colore di superficie.
Matteo Renzi e Maurizio Landini si guardano e si parlano, spesso per telefono, però poco s'intendono. Meglio: si capiscono benissimo, l'uno sa dove va a parare l'altro, ma non si accettano perché proprio non possono. Non per differenza di stile o generazione, ma in quanto personaggi-simbolo di un redde rationem , di un passaggio storico nel quale sarà difficile garantire la sopravvivenza (politica) a entrambi, la conciliazione, un comune modus vivendi . Dallo scontro armato di parole, si dovrà necessariamente passare a un confronto con numeri elettorali. Almeno nella misura in cui il leader Fiom si deciderà a prendere in mano quella folla sofferente che vede in lui Spartacus , il liberto ribelle, il vendicatore, il salvifico tribuno.
Due mondi frutto di reciproca precipitazione: quella del capo scout dc che strappa i veli dell'ipocrisia pidina, quella del capo sindacale catapultato senza volerlo nell'agone politico. Metamorfosi antropologica che anticipa, segue e testimonia l'evolversi di una storia collettiva. Si comincia così dalla prima incomunicabilità: per i landiniani non esistono due sinistre, essendo quella di Renzi una deriva centrista. Anche per i renziani, paradossalmente, la sinistra è una: maggioritaria ed egemone. A patto che sia nella versione di Matteo, Vangelo calato nella crisi epocale della sinistra. L'estremismo landiniano come «malattia infantile del comunismo»: ma qui siamo agli anni Venti e a Lenin, che già si rivolterebbe nella tomba al solo vedere un leader in camicia bianca, giubbino di pelle e Hogan ai piedi.
Neppure Landini conserva qualcosa del leninismo, pur essendo stato - classe 1961 - un iscritto al Pci come Marx comanda(va). Tutte le carte a posto, e ben lontano da quel sindacalismo radicaleggiante di un Cremaschi (o Bertinotti prima maniera). Lui i contratti li firma, gli accordi li fa, i compagni li mette in riga magari in virtù della buona stazza operaia (vedi gli ultimi scontri con la polizia). Veste come il popolo che rappresenta: felpe e camicie a quadretti. Se proprio deve citare, cita il professor Gallino o Paul Krugman, premio Nobel dell'Economia 2008. Le riforme renziane sono fuffa, «basta leopolde, basta con ste' cassate e cavolate qua», disse furibondo dopo il ceffone rifilatogli dal celerino nei tafferugli. Per un landiniano esiste solo il lavoro. Anzi: proprio perché non ce n'è, Renzi dovrebbe occuparsene e occupare i disoccupati.
Paradosso per paradosso, anche Renzi dice che preferisce creare posti di lavoro, piuttosto che distruggerli con gli scioperi. Il sindacato per un renziano è un racconto di nonno che fa cadere la palpebra. Anche perché - se non c'è più posto fisso - a che serve? «A tutelare i garantiti». Per il renziano non ci si può opporre al flusso devastante della globalizzazione, meglio farsi giunco. Meglio ancora, farselo amico: vedi il «finanziere delle Cayman», Davide Serra, o il furbissimo Farinetti, che propaganda il «made in Italy» facendo pagare (magari ai newyorkesi) un piatto di spaghetti da trattoria come griffe del lusso. Che furbata. Meglio Carlin Petrini, baluardo di un'autenticità landiniana, pure se i prezzi di Slow food sono tutt'altro che da mensa operaia.
Un renziano da un landiniano lo scorgi da un miglio, ma rigorosamente mai in piazza. Piuttosto sulla Fiat 500L ricicciata ancora da Marchionne, o dalla sigaretta elettronica sfoggiata davanti al classico rollatore di cartine e fumo «Pueblo». Il renziano nutre buoni sentimenti per tutti e persino nei confronti degli extracomunitari (tanto vivono dalle parti dei landiniani); basta che nessuno entri in conflitto con i personali interessi. Si diverte da matti con la serie di potere House of cards (ah, se Matteo imparasse di più da Kevin Spacey!), laddove il seguace di Landini non riesce a non commuoversi per le storie di Iacona in Presadiretta . Se il landiniano scommette, non lo fa sui siti inglesi, ma col biglietto della lotteria sperando nel vitalizio per sempre.
Due euro per 5mila il mese finché campi. Dunque, sa di economia.Nota bene. Se vedi un renziano in bici, è a pedalata assistita. Attenzione però: se capita a Roma, e dietro c'è una folla inferocita, è il sindaco Marino (scaricato da Renzi).
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