La speranza, per gli hackerati, è che la rogatoria verso gli Stati Uniti, dove i fratelli Occhionero hanno imboscato su un server i frutti delle loro incursioni, arrivi tardi o preferibilmente mai. Perché il giorno in cui i segreti grandi e piccoli custoditi in quelle mail approderanno in Italia finiranno di essere segreti: questo è certo. In un modo o nell'altro diventeranno di pubblico dominio. Lo faranno ufficialmente, depositata agli atti dell'inchiesta; o, nel più classico stile nazionale, circoleranno illegalmente ma alla luce del sole, grazie alla messe di fuga di notizie che costella ogni indagine. E se poi non dovessero trapelare per filo e per segno, lo scenario si farà ancora peggiore, perché a entrare nell'orbita del gossip saranno voci incontrollate e incontrollabili, approssimazioni, brandelli di conversazioni forse esistenti o forse inventate di sana pianta. Insomma, un caos in grado di alimentare per mesi il mercato del pettegolezzo politico-istituzionale.
Certo, è possibile che alla fine si scopra che ha ragione Giulio Occhionero, e che in quei file ci sia poco o nulla. Magari si scoprirà che Matteo Renzi non è stato così tonto da aprire la mail che il 30 giugno 2016 gli arrivò alla sette del mattino, e venire così risucchiato nella rete dei pirati. Ma sul gigantesco bottino di 18.327 caselle di posta elettronica penetrate dal virus, è difficile che non ci sia ciccia a sufficienza per rendere remunerativo il business inventato dai due rispettabili fratelli romani; e, ora che il loro progetto è naufragato, per allazzare torme di reporter investigativi.
Il giorno che il materiale raccolto dagli Occhionero dovesse arrivare nelle mani del pm romano che li ha fatti arrestare, Eugenio Albamonte, si aprirebbe una questione assai complessa. Le conversazioni intercettate dai due hacker capitolini non sono intercettazioni realizzate regolarmente su ordine della magistratura, conservate e protette - dopo le mille polemiche degli anni passati - con sistemi che dovrebbero garantirne la riservatezza (e anche questi, in genere, rivelatisi inefficaci).
No, le mail acchiappate dagli Occhionero sono a tutti gli effetti dei corpi di reato, il bottino della rapina, e come tali è impossibile tenerle fuori dal processo che prima o poi i due arrestati e i loro complici dovranno affrontare. In quel processo, e ancor prima di esso alla fine delle indagini preliminari, le mail dovranno venire depositate agli atti: per consentire agli imputati di difendersi, ma anche per permettere alle loro vittime, ovvero agli intercettati, di fare valere le loro ragioni. Poiché si parla di migliaia di vittime, e pertanto di migliaia di avvocati di parte civile, immaginare che un muro compatto di scrupolo professionale tenga il malloppo protetto dai media è un po' illusorio.
Certo, esiste un precedente, l'unico grande processo celebrato finora in Italia per un caso di spionaggio privato: l'inchiesta milanese sui dossier raccolti illegalmente dall'ufficio sicurezza di Telecom all'inizio degli anni Duemila. In quella inchiesta (nonostante molti abbiano scritto il contrario) non c'era traccia di intercettazioni illecite, ma l'attività di dossieraggio era comunque corposa e documentata. Ebbene, l'intero processo è stato condotto senza trascrivere e senza depositare il contenuto dei dossier, secretati fino al provvedimento di distruzione: con qualche svantaggio forse per i diritti della difesa, ma impedendo alla radice qualunque fuga di notizie.
Prima di venire inceneriti, i dossier poterono venire consultati dai difensori solo sotto il controllo dei carabinieri e senza estrarne copia. Si potrà fare altrettanto, con un caso ben più vasto come quello di EyePiramid?
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